Articolo a cura di Ilaria Ferrari, editorialista de l’indipendenteDiBorsa.

 

Paul Krugman, premio Nobel per l’economia nel 2008, ha definito i dazi imposti da Donald Trump “The Biggest Trade Shock in History”.

Intervenuto come primo ospite del Festival Internazionale dell’Economia di Torino, Krugman ha sottolineato fin da subito come le azioni dell’ex presidente non siano frutto di una strategia economica razionale – magari discutibile ma logica – bensì della “follia” di un presidente che fino alla recente sentenza del tribunale americano si considerava onnipotente. Questa è l’unica spiegazione, secondo Krugman, ai continui cambi di rotta di Trump e rende impossibile prevedere le sue future mosse.

Un ritorno agli anni ’30

Nonostante alcuni passi indietro compiuti da Trump quando i mercati hanno reagito negativamente (ad esempio con vendite massicce di titoli di stato americani), i dazi imposti restano tra i più alti dell’ultimo secolo. Negli anni ’30 gli USA aumentarono i dazi, in una situazione già di elevato protezionismo, ma a quell’epoca l’import pesava per il 4% del PIL americano. Oggi, partendo da una situazione di libero scambio, i dazi medi sono passati al 15-17%, un livello comparabile a quello dell’epoca della Grande Depressione.

La sentenza del tribunale federale – che ha sospeso i dazi imposti dall’amministrazione Trump facendo ricordo all’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) – non cambia la sostanza: anche in caso di ridimensionamento, i dazi tornerebbero a livelli che non si vedevano da sessant’anni, in un contesto in cui le importazioni rappresentano circa il 13% del PIL.

 

* Assumes 50% EU ‘reciprocal’ tariff rate

** Assumes removal of all 2025 IEEPA tariffs. However, on May 29, a federal appeals court temporarily agreed to preserve the IEEPA tariffs. On May 30, the Trump Administration announced that the U.S. will double its current tariff rate on steel and aluminum impots from 25% to 50%.

Effetti collaterali globali

L’imprevedibilità di Trump e le fluttuazioni dei dazi generano incertezza, che paralizza il commercio internazionale.

Esempi concreti? L’interruzione delle spedizioni cargo dalla Cina e delle esportazioni vinicole italiane verso gli USA.

I paesi colpiti potrebbero reagire in diversi modi:

  • – Ritorsione: possono rispondere con dazi propri.
  • – Diversificazione: cercando nuovi mercati e stringendo nuovi accordi commerciali con altri paesi.
  • – Deviazione del commercio: la Cina, per esempio, potrebbe reindirizzare le sue esportazioni dagli USA ad altri paesi, i quali potrebbero reagire con barriere all’importazione contro la Cina, generando un effetto domino protezionista.

Rischio effetto boomerang per gli USA

Messico e Canada mostrano una forte dipendenza economica dagli Stati Uniti: le esportazioni verso gli USA nel 2023 rappresentavano rispettivamente il 26,6% e il 19,5% del loro PIL. Al contrario, le esportazioni statunitensi verso questi paesi rappresentavano solo l’1,2% (Messico) e l’1,3% (Canada) del PIL USA. Un’asimmetria che li rende vulnerabili alle politiche commerciali statunitensi.

La dinamica tra Stati Uniti, Unione Europea (UE) e Cina racconta una storia diversa.

Le esportazioni verso gli Stati Uniti rappresentavano il 3,1% del PIL dell’UE e il 2,4% del PIL della Cina, mentre il loro contributo all’economia statunitense era rispettivamente l’1,3% e lo 0,5% del PIL statunitense. È il riflesso di un’interdipendenza economica più equilibrata.

Quella della Cina, in particolare, è un’interconnessione minore rispetto al passato e riflette un cambiamento iniziato con la guerra commerciale avviata da Trump nel suo primo mandato: i dazi imposti allora hanno spinto la Cina a diversificare i suoi mercati, prediligendone altri meno ostili, come Russia, Vietnam e India.

 

Come dovrebbe muoversi l’Europa?

L’Europa non può fare delle significative concessioni agli USA, perché i dazi medi europei sui beni americani sono pari a meno del 2%. Inoltre, qualsiasi gesto, seppur simbolico, rischierebbe di alimentare l’arroganza negoziale di Trump. Secondo Krugman, l’UE non dovrebbe né cedere né reagire con contro-dazi.

 

Gli USA non godono di una posizione dominante: come abbiamo visto, le esportazioni europee verso gli Stati Uniti rappresentano solo il 3% del PIL europeo.

 

L’Europa può compensare eventuali perdite attraverso stimoli fiscali e accordi con altri paesi come Regno Unito, Canada, Australia, Cina e Giappone.

 

In un contesto di guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, l’Europa potrebbe persino trarne vantaggio. La Cina, con un forte surplus commerciale, cercherebbe nuovi mercati di sbocco, puntando sull’UE. Inoltre, per Pechino è cruciale impedire l’accesso statunitense a materiali strategici come batterie e terre rare – risorse di cui l’Europa deve continuare a beneficiare.

 

In conclusione, secondo Krugman, l’interdipendenza globale viene spesso sovrastimata. Se il resto del mondo evita la trappola dei contro-dazi, gli effetti negativi ricadrebbero principalmente sugli Stati Uniti.

 

Per questo l’Europa dovrebbe tenersi fuori dalla guerra commerciale.

 

Marco Buti, ex Direttore Generale per gli Affari Economici e Finanziari della Commissione Europea, nel corso del Festival ha proposto tre linee d’azione strategica (elencate in ordine di difficoltà crescente):

  1. 1) L’UE non dovrebbe aspettare il 9 luglio, qualora le trattative con Trump dovessero fallire, per comunicare eventuali contromisure. Deve chiarire in cosa consiste l’annunciato strumento anti-coercizione.
  2. 2) Gli USA rappresentano il 15% del commercio globale: l’Europa dovrebbe muoversi e farsi leader nell’organizzare il restante 85%.
  3. 3) Riformare il modello economico europeo, troppo dipendente dalle esportazioni nette, e rilanciare il mercato unico.

 

Giorgio Barba Navaretti, professore all’Università degli Studi di Milano, invece ha evidenziato tre criticità:

  1. 1) Definire le linee rosse della trattativa: l’UE è dipendente dagli USA per tecnologia, difesa e sistema dei pagamenti.
  2. 2) La politica commerciale è negoziata dalla Commissione, ma serve consenso politico ampio. Trump potrebbe sfruttare le divisioni interne europee.
  3. 3) È essenziale ridurre le barriere interne e armonizzare le regole nazionali per un’azione più coesa.

Riferimenti

The Budget Lab at Yale. (2025, Maggio 23). State of U.S. Tariffs: May 23, 2025. Tratto da https://budgetlab.yale.edu/research/state-us-tariffs-may-23-2025

The Budget Lab at Yale. (2025, Maggio 29). State of U.S. Tariffs: May 29, 2025. Tratto da https://budgetlab.yale.edu/research/state-us-tariffs-may-29-2025

 

Articolo a cura di Ilaria Ferrari, editorialista de l’IndipendenteDiBorsa