Cari commensali non vi spaventate, quello che segue è un pezzo di Luca Telese scritto sul Fatto. Come direbbe Fazio gli darei un bacio in fronte. Tre ingredienti ve li somministro in anticipo:
1. Considero Giuseppe Cruciani, oltre che uno dei rari parenti liberali, un grande della radio
2. Anche al sottoscritto è ovviamente capitato di essere fatto completamente fuori dai programi della radio del Sole, dove precedentemente venivo chiamato (dall’amico Giannino in particolare)
3. Il sito Dagospia riporta la vicenda attaccando Telese e sostenendo che la sua non è libertà di stampa ma di cafonaggine. A parte il pulpito da cui parte la predica, non sarà che proprio il Sole 24 ore è l’azienda che raccoglie la pubblicità al sito? Noooooooo.

Leggetevi Telese:

Per quasi due anni, tutti i giorni, sono stato un cliente fisso de La Zanzara, il programma di punta di Radio 24. Per due anni, insieme con Giuseppe Cruciani e David Parenzo, mi infilavo in questo spazio di etere un po’ anarchico e fuori dalle regole, che, come diceva un ascoltatore che poi è finito persino nella sigla, “è come sedersi al bar dopo il lavoro con gli amici”. La Zanzara non ha regole, va in onda accompagnato dal grido ribelle di Rita Pavone, animato da un conduttore liberale con qualche simpatia nel centrodestra, a cui facevano da contrappunto voci diverse come la mia.

Per due anni ne abbiamo dette di tutti i colori e su tutti. Un mese di dibattito, solo per l’epiteto “orchicefalo”, che avevo rifilato al sindaco Oscar Lancini, quello che marchiava i bimbi con il Sole delle Alpi e ci voleva raccontare che era un simbolo druidico. Per quasi due anni io e Giuseppe discutevamo di tutto, dividendoci quasi su tutto, ma poi ritrovandoci come nel terzo tempo del rugby. La Zanzara mi inseguiva nel mio mestiere di inviato, in Sardegna dietro ai cassintegrati, nei cortei che raccontavo, nelle sedute cruciali di Montecitorio, persino nel gabinetto di un treno, dove Giuseppe, in un empito di radio-reality, mi chiese di mandare in onda anche lo scarico dello sciacquone.

La sera, quando scrivevo in redazione, combattevo tra le necessità della scrittura e il piacere del cazzeggio meta-giornalistico, Cruciani scherzava sul fatto di avere un orecchio al Fatto, qualche volta mi chiedeva persino di intervistare i colleghi avvicinando loro il telefonino.

Da due settimane, invece, stop coi Beatles stop. La radio non mi chiama più, mi dicono che sono finito in “Purgatorio”. Con affettuoso amarcord Cruciani manda frammenti di registrazioni d’epoca, litigi memorabili, cazzate dal sen fuggite e, persino, una mia non memorabile performance in cui da Victoria Cabello canto Eros Ramazzotti.
Se è una penitenza, ha qualcosa di bello e terribile, l’affetto che si riserva agli amici, ma anche la spettralità che si ritrova nei necrologi. Mi hanno raccontato perché e quasi non ci volevo credere.
giuseppe crucianimarcegaglia sallusti confa jpeg

Pare che Johnny Raiotta – quello che ha fatto perdere il 10 per cento al Sole 24 Ore in un anno e che quando fa la rassegna stampa su Radio Tre mette i voti ai colleghi come se fosse a scuola, definendo Marco Travaglio un “collaboratore di Michele Santoro” – abbia chiamato il direttore di Radio 24 per dirgli che era accaduto un fatto vergognoso, che la radio non poteva far finta che non fosse successo nulla. E cos’era successo?
jos06 luca telese

Io, il reprobo, avevo commesso un peccato di lesa maestà, avevo detto, in un programma che va in onda sulla radio della Confindustria, che “Emma Marcegaglia è una cretina”. Ora, se il signor Riotta avesse chiamato me, gli avrei spiegato anche perché. Trovavo incredibile, infatti, che la presidente della Confindustria e il suo geniale portavoce (che poi infatti è stato licenziato), invece di rivolgersi al direttore de Il Giornale o alla polizia, credendo di essere stati minacciati da quella testata, si appellassero a Fedele Confalonieri. Avendo detto peste e corna di chiunque, in questi anni, mi sembrava assolutamente ragionevole che una radio liberale mi consentisse di dire altrettanto della sua proprietà.

Ma siccome l’Italia è un paese in cui i liberali sono alle vongole e i democratici all’amatriciana, le regole del gioco le decidono i Gianni Riotta, quelli che negli anni Settanta sul Manifesto insultavano la polizia quando arrestava i terroristi.

ECCO perché al pari di uno degli idoli della Zanzara, Carletto Mazzone, non faccio la vittima e non mi strappo i capelli, ma sono contento di prendermi la squalifica, se questo è il prezzo da pagare per dire quello che penso di una delle signore più sopravvalutate dall’informazione italiana.