Ieri al G20 l’amministrazione americana, Obama, ha dichiarato: «Se l’Italia cambia il governo non cambiano i problemi». È quanto scriviamo da mesi. Ciò non toglie che l’attuale fase del governo Berlusconi stia diventando un problema. Politico, non economico. Quello purtroppo non si risolve né con il cambio dell’inquilino di Palazzo Chigi né con la bacchetta magica. La soluzione ovviamente c’è. Ma ha bisogno di tempo. La seconda economia industriale europea, la settima al mondo, non si rimette in moto con il semplice cambio del pilota. È necessaria una revisione generale.
Ecco perché il presidente del Consiglio deve mollare e chiamare le elezioni, da tenersi il prima possibile. Non ci sarà nessun effetto benefico da questo annuncio. Ma si potrà almeno sperare di mettere in piedi uno straccio di politica liberale che rimetta in moto la nostra economia. Le idee Berlusconi le ha molto chiare in testa. Sono nel suo Dna. Sono quelle del programma originario: sono contenute nella lettera inviata alla Banca centrale europea. Insomma il rischio è di continuare in questa melina per i prossimi mesi, fino al prossimo incidente parlamentare o finanziario.
L’economia ha bisogno di certezze, di una strada sulla quale incamminarsi. Ebbene non si può continuare così. Questa estate è stata varata una manovra da 60 miliardi: da brividi. Il rigore è assicurato. Ma le incertezze che l’hanno accompagnata hanno lasciato il segno. Come Berlusconi ben sa la fiducia è la spezia magica per un’economia in crescita. I numeretti che sintetizzano Pil, disoccupazione, consumi, risparmi, sono fatti da essere umani e da miliardi di scelte che essi compiono in ogni istante. Se l’umore è pessimo, i numeri prendono una brutta piega. Siamo riusciti a spaventare ogni settore della nostra economia con le decine di ipotesi fiscali che sono circolate negli ultimi mesi. Il risparmio, la crescita, gli investimenti si alimentano con la fiducia e la certezza della strada intrapresa. E questa Berlusconi, con questa maggioranza che perde un pezzo al giorno, non è in grado di assicurarla. Si metta per l’ennesima volta in gioco: veda il bluff delle opposizioni. Le stringa in una campagna elettorale sul terreno che gli è più congeniale: quello dell’economia. La road map, come è stato chiamato il disegno di legge che dovrebbe essere approvato nelle prossime settimane, lo scriva nero su bianco nel nuovo contratto con cui si presenta agli elettori. Accenda lo scontro politico sulle cose da fare e non sui numeri per farle.

Gli elettori del centro destra sono frastornati. Un giorno gli tassano i redditi alti, il giorno dopo li ingabbiano in uno stato di polizia fiscale. Un giorno gli promettono liberalizzazioni e quello dopo la perpetuazione delle tariffe minime (qualcuno si ricorda la proposta di Alfano contenuta nella bozza della riforma forense?). Insomma si sbarazzi Berlusconi da queste centinaia di equivoci che ha contribuito a creare negli ultimi mesi.

Se, parafrasando Eugenides, davvero Berlusconi vuol «diventare un aggettivo» si spicci. Un piano berlusconiano per la crisi è l’ultima speranza che ha. Ma non ha certo la possibilità di portarlo a casa con questa maggioranza.

Vi è la pericolosa, pericolosissima, convinzione nell’elettorato moderato che un governo tecnico possa fare tutto ciò. Si tratta di un’illusione drammatica. Non esiste un esecutivo che oggi possa farsi approvare da questo Parlamento misure impopolari (probabilmente anche nel futuro, ma nel presente è certo). Un governo tecnico potrebbe solo fare misure molto popolari che accontentino una pluralità di cittadini, ma che non risolverebbero alcunché. E il nome e cognome di questa misura è: patrimoniale sulle grandi ricchezze.

Se essa dovesse davvero essere solo sui patrimoni ingenti, non porterebbe gettito sufficiente. Se, come dimostrano gli altri casi storici, essa dovesse al contrario essere cospicua in termini di gettito, la sua platea sarebbe automaticamente più ampia. Un disastro dal punto di vista economico. La folle rincorsa della spesa pubblica con nuove entrate serve a nulla. Anzi fa male: riduce i consumi e gli investimenti, come fecero le drastiche misure di Amato nel 1992.

Dio ce ne scampi. E Berlusconi si attrezzi: si faccia processare dai suoi elettori. Quello è un tribunale che lo ha in simpatia.

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