Altro che i giovani “rottamatori” del Pd (Renzi e compagni per capirci), chi rischia di rottamare davvero il Pd è il combinato disposto Marchionne – Fiom. Ovviamente da versanti contrapposti anche se, alla fine, il risultato potrebbe essere lo stesso. Già, perché la vicenda Mirafiori ha aperto un fronte pericoloso e difficile per il Partito democratico, soprattutto per gli ex Pci-Pds-Ds e per la Cgil.

Lo scontro è chi sta con chi: Marchionne e la Fiat o la Fiom, l’ala cigiellina oltranzista dei metalmeccanici? E quanto pesa il ricordo di Berlinguer davanti ai cancelli di Mirafiori e la marcia dei quarantamila? Per capire la difficoltà basta ricordare l’ultima uscita di Massimo D’Alema: “Io non sto nè con la Fiom nè con Marchionne. Non è questo il compito di una partito politico. Io non sono d’accordo con la Fiom perché un sindacato negozia anche arretramenti concessioni, esuberi, a volte necessari per salvare un’azienda, ma non mi convince neanche l’esaltazione del caso Fiat come esempio di modernità, caso mai è emblema di arretratezza. In Germania ci sono salari più alti e automobili più competitive. La vicenda Fiat dimostra che l’assenza di una politica che investa  sull’innovazione scarica su operai e aziende i costi della competitività internazionale”.  D’Alema critica anche il leader del Sel, Nichi Vendola (possibile alleato scomodo) che invece davanti ai cancelli di Mirafiori ci va: “Noi siamo un grande partito nel quale militano sindacalisti della Fiom, della Fim e della Uilm. Il nostro impegno è lavorare per favorire l’unità sindacale. Non possiamo prendere posizione  per un sindacato contro un altro”.

Già, il problema sindacati che in gran parte (Fiom-Cgil esclusa) hanno firmati l’accordo con Fiat, si capisce che imbarazzi D’Alema. Ma imbarazza anche il volantinatore Vendola contestato duramente della Fismic davanti alla porta 2 di Mirafiori. I sindacalisti della Fismic, tra loro il leader Roberto Di Maulo, hanno mostrato polemicamente una copia della pagina de Il Giornale con il titolo “Sorpresa, Vendola a Bari fa il Marchionne”. Il leader di Sinistra e libertà, governatore della Puglia, forse si è reso conto per la prima volta che le tute blu sono altro rispetto al “racconto” della classe operaia che ama declinare con toni troppo spesso intellettualitici.

Matteo Renzi invece non ha dubbi,  il sindaco di Firenze ha detto chiaro e tondo che lui sta dalla parte di Marchionne invitando Bersani a “smetterla con l’aria fritta” e lo ribadisce su Facebook rispondendo, senza citarlo, proprio al leader Maximo dicendo di rispettare  “le opinioni di chi non la pensa come lui”, ma sostenendo “che è meglio tenere una fabbrica aperta scommettendo sul futuro, che chiuderla piangendo su quanto è cattivo il mondo. Il mondo non si ferma. E il mondo ci costringe a cambiare. In Germania i sindacati hanno fatto accordi intelligenti e il mondo delle auto va alla grande. Perché noi no?. Non ho verità in tasca. Ma più che con la Fiom sto con il governo Obama che scommette e investe sulla sfida di Marchionne. Reazionario anche Barack?”. Nel Pd, insomma c’è chi non sceglie e chi sceglie di sostenere Marchionne e ancora chi ritiene invece che l’ad di Fiat vada contrastato e la Fiom sostenuta con forza.

A latere (ma non troppo) del Pd c’è la Camusso, la segretaria della Cgil che va allo scontro con la Fiat alzando i toni a favore del no al referendum e dall’altro cerca di ridimensionare il qualche modo Landini e suoi pasdaran perché non vuole che in futuro la Cgil rischi di essere esclusa dai tavoli della trattativa: che significa in soldoni: fuori dalle fabbriche.

Partita doppia, insomma, che ha già visto su questo terreno “incursioni” di Cofferati e Bertinotti riapparsi dopo lunghissimi silenzi. Partita nella quale il Pd gioca di rimessa, sta sulla sponda, non decide di passare il guado e accettare davvero la sfida della modernizzazione già avviata da tempo in altri paesi industrializzati, Germania in testa. Scegliere di non scegliere, come fa D’Alema, espone il Pd al rischio di combattere una battaglia di retroguardia che potrebbe trasformarsi in una Caporetto politica per l’ex Balena rossa che rischia di scivolare in un rigurgito di neo-operaismo ideologico che lo avvicinerebbe ancora di più a Vendola e alla sinistra-sinistra. Con le inevitabili conseguenze sul progetto di alleanza con il – semmai nascerà davvero – Terzo polo centrista. D’Alema non se la sente di schierarsi in un momento storico, di svolta, per il Paese:  è proprio vero che uno il coraggio politico, quando serve, non se lo può dare.