Perché Trump ha vinto
I bambini, essendo infantili, pretendono che tutte le ciambelle riescano col buco. Vogliono vincere sempre, non accettano la sconfitta. E se non ottengono quello che vogliono frignano, pestano i piedi, si disperano. Fanno le vittime. E il vittimismo, come sappiamo, è una delle tante declinazioni del rifiuto ad assumersi le proprie responsabilità. Oppure diventano aggressivi. Può anche capitare che abbiano tutte queste reazioni insieme.
Ricordo quando, a 5 anni, facevo la boxe con mio padre. Ci mettevamo entrambi i guantoni, e ci tiravamo pugni. Io con tutta la mia forza, lui delicatamente. Se non lo mettevo ko mi arrabbiavo. E lui, naturalmente, stava al gioco. Fino a quando, un giorno, mi mise al tappeto lui. Io mi infuriai. Al che lui mi diede una lezione preziosa: “Nella vita ti possono buttare a terra. Ma non importa. L’importante è non piangere; imparare dai propri errori; e ritirarsi in piedi. Solo così potrai vincere al prossimo incontro!”
Quando perdi, non perdere la lezione!
Crescendo, impariamo infatti che prima o poi perdi. E’ matematico. Fa parte della vita. Ma la sconfitta può poi trasformarsi in vittoria, se capiamo la lezione e non commettiamo più lo stesso errore. Come ha detto il Dalai Lama, “quando perdi, non perdere la lezione”.
Tutti, prima o poi, perdiamo. Perché tutti sbagliamo. Ma c’è chi è pronto a riconoscere i suoi errori, e a correggerli. E chi, invece, cerca di occultarli. Se rifiutiamo la sconfitta, fingendo di non aver sbagliato nulla e dando tutta la colpa agli altri, non impariamo nulla. E siamo destinati a ripetere lo stesso errore. Come sta facendo, e come continuerà a fare ad oltranza, Donald Trump: “Le parole Ho perso, come le parole Ho sbagliato, non fanno parte del mio vocabolario” ha proclamato. Lo avevo previsto lo scorso settembre, in questo blog: conoscendo il personaggio, non avevo dubbi sul fatto che rifiutasse un esito per lui negativo, accampando presunti brogli.
Pretende, come un bambino, di avere vinto le elezioni, pur avendole perso. Ovviamente non cambierà mai idea, neppure di fronte a tutti i riconteggi del mondo. Non si arrenderà mai all’evidenza, né mai lo faranno i suoi sfegatati seguaci (tra cui alcuni dei miei affezionati lettori), per i quali la sua parola è Vangelo. Non c’entra la politica, c’entra la psichiatria: Trump non accetta la realtà. E ci dimostra, così, come si possa restare infantili anche in tarda età. Perché la maturità non è una questione anagrafica, ma mentale.