Cultura liberale: la vera assente dal dibattito italiano
Tra il salone del Libro di Torino, la lista di proscrizione di Gad Lerner e gli scontri continui in televisione viene da pensare che in Italia non esista una cornice culturale condivisa che possa contenere un quadro di un bel futuro del Bel Paese.
E il dramma culturale italiano è la totale assenza di una vera cultura liberale. Mancano proprio gli elementi fondamentali che rendono neanche contemporaneo, ma moderno il sistema di pensiero che gira nei neuroni italici. Primo fra tutti il pluralismo, inteso come l’idea che la propria convinzione non sarà mai un sovrano assoluto nel regno delle opinioni.
I principi della cultura liberale nascono e sviluppano tra Inghilterra e Stati Uniti, spesso in opposizione ai totalitarismi ideologici che hanno pervaso prima la Francia rivoluzionaria e poi i paesi colpiti dalle grandi dittature novecentesche. La globalizzazione ha facilitato il circolare di questi principi in tutto il mondo e ha messo le persone di fronte alla necessità di adottare un sistema di pensiero più aperto, inclusivo, selettivamente tollerante. E persino molti sistemi che tanti italiani ancora considerano luoghi poco sviluppati, come i Paesi arabi, sono oggi culturalmente più moderni dell’Italia.
I recenti episodi del Salone del Libro di Torino, le vicende legate all’arresto di Cesare Battisti e il carattere chiaramente militante del mondo culturale italiano fanno ben capire che la spezia che manca in questo minestrone è proprio quella liberale.
D’altra parte nella cosiddetta Prima Repubblica per mezzo secolo democristiani e liberali sono stati impegnati nella spartizione del potere, mentre il PCI conquistava ogni remoto teatrino, centro culturale o neurone. Nella cosiddetta Seconda Repubblica il protagonista indiscusso dello schieramento anticomunista, Silvio Berlusconi, ha dedicato le proprie energie liberali in campo politico, economico e mediatico, rinunciando, o non riuscendo a conquistare, l’ambito culturale.
La stessa Chiesa cattolica, dove dopo il Vaticano II si è affermata quella fazione che ha scelto di percorrere la china delle ideologie novecentesche, ha contribuito a rendere l’Italia ancor meno permeabile ai buoni frutti liberali della contemporaneità, lasciandole magari solo quelli marci.
Ciò che la cultura italiana si trova oggi è quindi un terreno minato da scorie radioattive che perduto il sapore dell’ideologia comunista dominante sono sempre in cerca di un’altra ideologia con cui insaporirsi: che sia il femminismo totalizzante della Murgia, l’ecologismo alla Greta Thurnberg o il nulla militante di Saviano, in Italia sembra non possa esistere cultura senza militanza ideologica esclusivista.
E la differenza tra loro e un intellettuale liberale sta in un pensiero di sottofondo che travalica le naturali simpatie da gruppi minimi di Tajfel. Un intellettuale militante infatti occupa case editrici e istituzioni culturali lasciando poi passare solo chi rientra nelle maglie sempre più strette della sua ideologia. Un intellettuale liberale invece è sostanzialmente disinteressato alle opinioni degli altri intellettuali. E infatti non fa gruppo e lascia che vincano i cartelli organizzati.