Raoul Casadei non se ne va, resta con la sua simpatia
Raoul Casadei se n’è andato. Ma forse no, perché uno come lui non se ne può andare. Lui è uno di quelli che resta anche se ti consumi gli occhi a piangerlo. Ho avuto il privilegio di scrivere insieme a lui il romanzo della sua vita. Ho avuto l’onore di entrare nello scrigno della sua memoria. E ve lo dico io: lui non se ne va, lui resta.
Lo spirito romagnolo è strano, sceglie ogni tanto qualche persona e le fa fare patacate talmente grandi che finisce che tutto il mondo si ferma a guardarle. Un po’ tipo Fellini. Un po’ tipo Raoul.
Raoul è venuto su dalla provincia. Ma proprio dalla provincia, anzi, dalla periferia. C’erano per lui vite già scritte dalla società, dalle convenzioni, dal caso. E lui invece si è scelto la sua. Eredita l’orchestra dello zio Secondo e inizia a portare un genere musicale in tutta Italia. In tutto il mondo.
Se lo inventa, ne crea un brand. Ne diventa il Re. Porta il liscio al Festivalbar, a Sanremo, in ogni programma TV, fa film. Diventa il simbolo del boom turistico romagnolo. Diventa il simbolo della Romagna.
E intreccia questa storia di periferia con i grandi. Fa cantare Romagna mia a Gloria Gaynor, a Tito Puente, ai Deep Purple. Incontra Ella Fitzgerald, Ray Charles, inserisce un pezzo della sua provincia nel grande mondo.
E in tutto questo rimane sempre testimonial di una stupenda famiglia d’una volta, che continua a crescere e a prosperare.
Uno così non se ne può andare. Uno così è un po’ come i patriarchi della Torah, che vengono ricordati ancora dopo chissà quanti millenni.
Ho fatto lo slalom fra le lacrime per scrivere per lui qualche verso. Eccoli qui, per tutti coloro che come me non possono smettere di amare il sorriso della Romagna