Ritratti / Zambrini, dall’impressionismo al piano bebop
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Antonio è sempre all’opera. Jazz, naturalmente. Giovedì 13 maggio dalle 22,30 suona in trio (con Roberto Paglieri alla batteria e Alex Orciani al contrabbasso) alla Salumeria della musica di Milano, pezzi suoi e la rivisitazione di standard. Il 24 giugno lo aspettano allo spazio Oberdan, a presentare il suo ultimo cd, “Songs from the Procol harum book”; e, dulcis in fundo, il 21 luglio eccolo nella lecchese Olginate, in duo con il chitarrista Bebo Ferra.
Chi lo segue oppure in questi giorni ha sentito passare in radio i nuovi brani della sua incisione, ha già capito che qui si parla di una vecchia conoscenza milanese – va in giro di notte e non è difficile incontralo alle jam -: è il pianista Antonio Zambrini. «La mia evoluzione stilistica? – attacca -. Dopo anni in cui mi sono dedicato alle mie musiche, da tempo sono in una fase di apertura e collaborazioni esterne (vedi Lee Konitz), e a trattare materiali altrui. Scrivo, anche perché me lo chiedono, e lavoro sul recupero dello stile anni ’40″. Sulle strade del bepop per tornare in una casa dove c’è stato poco.
Tra il primo lavoro (con “Antonia” che porta in giro persino il collega Bollani) e le sue ultime fatiche, di note nei fumosi jazz club ne sono volate. Ora, da lui, non ci si aspetti per forza un pianismo malinconico e crepuscolare alla Debussy, che attinge all’impressionismo o alla poetica di Nino Rota, o, ancora, ai complessi scenari neoclassici di Hindemith. Finito di esplorare quei mondi esatonali – e per la verità si era già smarcato con l’album “Musica”, è “il tempo del dinamismo, dell’energia», sintetizza. L’ultima incisione è la riprova. Otto brani ri-arrangiati di una mitica band anni Sessanta, “Procol harum”, che ha fatto sognare diverse generazioni: quel sound progressive-blues, l’inconfondibile organo Hammond, un brano come “whinter shade of pale”, rimasto icona.
“Ovvio, non abbiamo fatto cover (oltre a lui, Di Biase, doublebass e Jon Scott, drums): è una mia/nostra visione”. Affascinante, di quei mitici. Sentiremo all’Oberdan, dunque, in attesa di altre suggestioni: “Il futuro? A medio termine un disco sul mondo di Fauré…(ndr. Gabriel Fauré, organista e compositore francese di fine Ottocento)”. E allora è il caso di dirlo, caro Antonio: la lingua (o il dito) batte dove il dente (o il tasto) duole.
In allegato: il brano di Zambrini “Antonia”, eseguito da Stefano Bollani