Ritratti / Un pomeriggio con Andrew Hill
[youtube 8PPd6wtFoBY nolink]
Come ascoltare Andrew Hill lo si può “apprendere” in un libro negli scaffali delle librerie da pochissimo tempo. Già, Hill: un pianista alla fin dalla fiera più conosciuto più da morto (è scomparso nel 2007) che da vivo, come i grandi del passato vedi Bach. Un compositore anomalo, difficilmente collocabile, la cui biografia ha ancora buchi e ambiguità. Eccone una, giusto per fare un esempio, la sua vera età. Bene, solo dopo la sua morte si è scoperto che era nato il 1931 e non il 1937, come lui chissà perché amava raccontare.
“Come si ascolta il jazz” (Minimum fax): il libro firmato dal giornalista-critico Ben Ratliff, se si vuole dunque avere un’idea del personaggio – ma nella raccolta c’è una serie di colloqui con altre vere e proprie star del genere -, è quello che ci vuole. L’intervista a Hill, come le altre del resto, è stata fatta con una trovata assai originale, finalizzata alla rubrica “Listening With” (“L’ascolto con…”), pubblicata sul New York Time. In pratica il critico ha trascorso pomeriggi a sentire brani in compagnia dei musicisti. Risultato: gradevoli e interessanti colloqui tra musica, biografia e divertissement.
Ma torniamo a Hill e alla sua musica, da scoprire, se già non lo si è fatto. Qualche spezzone biografico pizzicato qua e là per saggiare il personaggio. Da giovanissimo sembra che avesse problemi di comunicazione verbale. Riguardo la sua formazione il nome di uno dei maestri fa capire molte cose riguardo il suo stile: Paul Hindemith; ovvero, quel suo stare dentro e fuori alla tonalità, una sorta di atonalismo relativo applicato al jazz. Riporta una biografia pubblicata su All abaut jazz: “Il lavoro di Hill è un’opera di forza innovativa superiore, che risente del free pur rispettando l’ambito tonale. Il pianista manifestava forte autorità di solista e leader, chiara volontà di troncare coi modelli canonici dell’hard-pop per imporre un’originale prospettiva”.
Per chi volesse approfondire, ecco alcune incisioni dell’autore sicuramente da ascoltare: si va da “Point Of Departure“, in cui ci sono cinque sue magistrali composizioni, a “Compulsion“: un’altra opera considerata dai critici di rilievo, con l’emozionante tromba di Hubbard. Quando lo storico del jazz Arrigo Polillo lo recensì di lui scrisse che è “tra le intelligenze più vive del jazz d’avanguardia”.
In allegato: musiche di Andrew Hill