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Il racconto (si sa) ha avuto un calo di popolarità – e non parliamo di quello musicale che praticamente è sempre stato un fanalino di coda -. La musica, i suoi strumenti, i suoi protagonisti hanno ispirato poco quanti per necessità o professione o semplicamente per passare il tempo si sono cimentati e si cimentano con le parole. Eppure i soggetti non mancano. Dal pianoforte al flauto traverso, dalle arie barocche ai tempi irregolari di una sonata del Novecento, fino ad arrivare ai giorni nostri, con l’elettronica, la computer music e la rivisitazione in chiave moderna delle antiche polifonie. Un mondo coi suoi “abitanti” col quale si possono inventare delle storie. “Fuori Tono” continua – muovendosi non solo nell’era moderna di cui per sua scelta si occupa – a proporre periodicamente un racconto musicale, accompagnato da una colonna sonora e da un video che possono rappresentare il soggetto. Dopo “Una Rimini da sogno” (29/03/2011), ”Uno Stabat Mater che consola” (29/04/2011) e “Le paure di Rumolandia” (30/05/2011), “Suono I, Suono II, Suono III“ (30/12/2012), “Non entrate in quell’auditorium…” (28/01/2013) e “Il mistero di San Crispino” (27/02/2013), “Le sorelle Lucerna” (29/04/2013) e “Belfagor alla Scala” (30/5/2013), “Gil e le parole del silenzio” (29/06/2013) e “Il sogno di Pitagora” (31/07/2013) e “Charlie ecco il diario di un Minuto…”

Guarda i cerchi di fumo appena infranti sul soffitto in scomposti fili di seta dal colore lattiginoso. La sua vista lucida per il suono e l’alcol riesce a malapena percepire le forme della stanza, e la poca luce lo offende.

Nascere e andarsene così, in questo stato di cose, in questo ambiente di notti che vanno in fumo, bottiglie svuotate e volteggi in jazz, non lo conforta affatto. Se fosse stato anche solo una piccola cosa, una singolarità nel niente, avrebbe sperato di meglio. Stare alla luce del sole, in una bella giornata estiva, che caldo anche in città. Per vedere i cornicioni dei vecchi palazzi segmentati dai fasci e puntini luminosi, quando non è possibile percepire come sono quelle particelle sempre di mezzo, noiose un po’, ingenerose tanto.

Invece quello, quadralo lì, con la sua tromba ancora caldo di guizzi e scale. Non gli rende certo onore, per esistere. Non sa nemmeno della sua esistenza poveraccia, per caso più dilatata da un quaranta gradi alcolici e neppure di marca buona, appunto, per quella quantità di acido finita al capolinea e per scelta nello stomaco che si squarcia. Eppure, inesorabilmente, dipendono l’uno dall’altro per convenzione naturale, natura, cultura, caso, volontà; si dice Minuto.

Sospeso come è, inutilmente, come chi viene “formulato” come lui. Uno dopo l’altro, uno dopo l’altro, e l’altro ancora. Chiunque in questa situazione si domanderebbe come spendersi. Minuto lo fa e lo rifà, vedendosi passare, con regolarità milletrica. Solo la pendula di quel Cotton Club gli è testimone, e per lui non può fare meno di niente: è immobile se non negli ottusi e ben oliati meccanismi che girano secondo quando stabilito. E che dire di quello là sotto, in annegamento tra allucinanti piste che dopo il lancio frenano e bicchieri in cento pezzi, sdraiato su un vecchio sofà. Dunque è questa una star che tutti acclamano? With complimets

Rovesciato, volgare, appiccicato, scocciato, deluso a dir poco e finito così, tra la puzza del suo corpo, il suo sudore che allaga, i miasmi di quanto ingerito. Dorme ed è come un niente Charlie, si fa guardare con disgusto non dai testimoni suoi simili, ma dagli insospettabili dell’esistenza, a lui tanto legati; più che a una madre. Minuto piange di lacrime senza spessore, perché è già lui in una dimensione senza alti, bassi e larghi, senza misure, con lacrime che non sono misurabili: prima ancora di essere cadute. Puff, scomparse ancor prima di materializzarsi.

Minuto, a quest’ora, non ci pensa proprio, e senza un forse si assopisce in un istante, ma subito viene scosso dal verso di quel “padrone di casa” così stolto, con i suoi versi là sotto. Con quell’alito terrificante ma non avvertibile da lui, Minuto, eppure così fastidioso alla sola ipotesi della sua esistenza. E ancora, agli occhi di quell’”esserino”: del suo “amico”, la barba sfatta che non s’avverte: in quella stanza in-materiale, godibile sono senza pupille. Ma Minuto sa, e non ha bisogno di alto, di basso e di largo, ovvero di misure, tri-dimensioni. Di narici e padiglioni per ascoltare. E tremerebbe adesso se fosse capace di essere nel senso pieno della parola: meglio “galleggiare” nel tempo. Perché quello là, là sotto, consuma Minuto secondo dopo secondo, con un gesto: si gratta la faccia Charlie, ridicola con quelle schifose smorfie del sonno irregolare, stupefacente, malato, abbrutito.
Una notte così, senza senso per lui e anche per Minuto. E allora che fare? Sì, una rivoluzione, decide Minuto. Una cosa mai fatta nella storia di quelli uguali a Minuto. Ribellarsi. Scendere in guerra. Non esserci più così, sprecati, buttati via, lontano, senza onore, dopo aver perso senso. Regalati al niente, accartocciati. Estinti semplicemente. Ma come? Rifiutandosi di comparire. Di nascere, consumarsi e perire. Niente balenare Charlie, niente balenare…
In allegato: musiche di Charlie Parker