Al Maggio Fiorentino / Portera, l’instancabile junghiano della composizione
[youtube r_fxAvb1uyE nolink]
Mi è capitato un giorno di “pungere” il compositore Andrea Portera da Fiesole, che domenica 16 novembre avrà il piacere, con il resto del pubblico che sarà presente ad ascoltare dal vivo, di vedere una sua composizione eseguita dall’orchestra del Maggio Fiorentino – seguiranno spiegazioni da lui stesso fornite sul brano (per saperne di più: http://www.operadifirenze.it/events/stefano-montanari-4/
Opera di Firenze www.operadifirenze.it). Mi è capitato di “pungerlo” perché aveva appena ritirato un riconoscimento di alto livello, probabilmente l’ennesimo, e vista la sua età – era ancor più giovane di oggi – una domanda mi era sorta spontanea: “Ora che cosa farai? Hai vinto tutto…”. Non ricordo la risposta, una me la diede… Ma quel che è importante è che oggi una risposta l’abbia trovata io. Una ragione che mi fa capire un po’ di più lui e quelli come lui, che giovani o meno giovani salpano per una destinazione che neanché loro sanno che cos’è o dove si trova. Una volta si diceva “un progetto personale…”, altri dicono “l’obiettivo di vita…”, altri ancora “la necessità di una ricerca….”. Ecco forse quest’ultima è la meglio definizione. Portera, le cui composizioni si trovano tranquillamente sul web (liberi tutti su gusti e opinioni), è qualcuno che non ritira le statuine e poi, come si diceva una volta, si mette “a dormire sugli allori”. Per un motivo molto semplice: la sua è una ricerca autentica in cui crede con passione; al di là che gli esiti piacciano o no. La riprova per me, se di riprova si può parlare in questi casi, è anche ma non solo la costante di vederlo muoversi tra archetipi e simboli come una sorta di speleologo, uno Jung della composizione musicale; passano gli anni e lo fa senza mai stancarsi. C’è chi compone usando la matematica, chi spunti letterari oppure le scienze quali la biologia e l’astronomia. Questo autore invece di cercare in alto “cerca” dentro all’inconscio senza stancarsi. Un modo di scandagliare e scandagliarsi magari per capire il senso ultimo di noi stessi. Della (sua) vita, se già non c’è riuscito: altro che statuine, sarebbe un bel traguardo.
Dalla presentazione del brano:
“E’ un rituale musicale che evoca la fenomenologia tra conscio e inconscio, tra razionale e intuitivo.
Il brano descrive le quattro stratificazioni dell’essere umano:
1) coscienza, un canto “consapevole” dei primi violini, basato su un Sol4 (per Bartok era la nota comune tra tutti i canti etnici); 2)preconscio, ossia i depositi della memoria, a cui si accede con un rapido segnale di echi tra gli oboi, allusione a un processo informatico di salvataggio dati;
3)inconscio personale; dove gli archi gravi e i fiati collegano il canto consapevole con una linea discendente verso le profondità dell’orchestra;
4) inconscio collettivo. La mia idea di “comporre” è quella di realizzare dei rituali, dei momenti sonori antropologici che sollecitino la percezione dell’ascoltatore e ne stimolino dei processi inconsci, fino a giungere alla soglia degli archetipi (in particolare quello di Pan), dove risiede la nostra energia creativa più evoluta. La mia ricerca ha fatto tesoro di una esplorazione timbrica e ritmica che da l’esperienza contemporanea ha poi trovato efficaci connessioni con un’idea di musica più antica, ancestrale. Il brano, che inizialmente doveva intitolarsi “Adagio” ma per riferimenti a parole con la “a”,(“archetipo”, “antropologia”, ecc) e molteplicità di contenuti si è “ristretto” ad A…, allargando il suo bacino di messaggi, trova una collocazione ideale in un programma Barocco, in quanto i suoi tessuti musicali sono retti da strutture contrappuntistiche intense, isoritmie e tecniche di imitazione costanti che si snodano in una architettura formale geometrica sempre in base sette. Questo processo prende l’anima del Barocco senza evocarlo attraverso sterili esercizi di stile”.