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L’Italia dei Conservatori in piazza dà l’idea di come siamo messi nel Belpaese in fatto di musica, e non questione di un singolo governo, ma il risultato di decenni. A pensarci bene riguarda un po’ tutti, anche se in questo preciso momento sotto i riflettori è di nuovo finita l’istruzione (se mai dal cono è uscita). Posto che siamo uno dei Paesi ad alta densità di musicisti – così almeno in giro si dice – il resto a volte, a essere buoni, fa storcere la bocca. Quando si parla dei Conservatori c’è una moltitudine in rivolta per una riforma che non si conclude con conseguenze certamente pesanti se così tanti prof scendono in piazza (in primis, questioni di fondi); quando si parla di scuola dell’obbligo in questi anni si sono sprecati gli appelli di grandi musicisti ad abbandonare il flauto come strumenti di primo approccio a favore di qualcosa altro di più; ovviamente quando la musica si fa; e ancora. Essere musicisti in Italia non è certo facile, a parte la rosa di quelli piazzati e di quelli che ce la fanno, per la maggior parte è durissima; e anche vero i Conservatori sfornano migliaia di musicisti l’anno e in ogni caso il posto per tutti non ci sarebbe. Anche essere pubblico o esserlo in potenza non è facile. C’è sempre il mantra che le sale progressivamente tendono a svuotarsi, almeno quelli della musica classica & affini (non è che il jazz stia benissimo, mente pop e rock si difendono) e che mediamente l’italiano non è persona musicalmente colta al pari delle popolazioni del Nord Europa. La risposta?  Le scuole ci sono, i prof anche, i musicisti di buon livello sono legioni… dunque. Servono strategie, investimenti – facile si dirà – per la scuola e per lo spettacolo, ovviamente che sono per il futuro coi suoi ritorni – e perché no? Investire anche sul pubblico del futuro. Insomma un po’ le solite cose ma ricordarle non è mai abbastanza, visto che si fanno tagli e le riforme partono e non arrivano.