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Il concerto giusto. Aria densa di curiosità e attesa, che a ripensarci fa ben sperare riguardo al clima intorno alla musica d’arte, contemporanea. Per stessa ammissione dei musicisti protagonisti: “un clima che migliora”, si diceva a fine spettacolo negli affollati camerini tra vip, compositori e musicisti. E in sala… Pubblico copioso alla Stagione sinfonica del Dal Verme per la prima del concerto Stravinskij-Galante-Pärt, pubblico che ha occupato gran parte dei posti, in un’atmosfera da vero e proprio evento. Qualche considerazione in sala, aspettando la musica.Se qualcuno si è “preoccupato” per il compositore Carlo Galante, teoricamente in pericolo di essere messo in ombra da un gigante come Arvo Pärt – presentato con un discorso di benvenuto dall’assessore alla Cultura di Milano, il compositore Filippo del Corno – è stato smentito dai fatti musicali. Alla fine del primo recital dei tre previsti – giovedì e sabato in via San Giovanni sul Muro a Milano e venerdì a Padova – si è persino visto il maestro estone discutere con lo stesso Galante, fargli i complimenti riguardo al suo concerto per due pianoforti e orchestra.

Un bilancio di serate e pomeriggi di applausi al Dal Verme e fuori città, con una scaletta sopraffina portata avanti con sapienza dal direttore Carlo Boccadoro, dai solisti Luca Schieppati e Andrea Rebaudengo e dai Pomeriggi musicali, che a detta del maestro d’orchestra-compositore, sfinito in camerino, “avevano suonato benissimo, neppure un errore”. Il programma. I fari accesi sui nuovi lavori – dopo lo Stravinkij di “Otto piccole miniature” -, in sequenza: i “Racconti di pioggia e di luna” (pezzo commissionato dal direttore artistico del Dal Verme Maurizio Salerno) e “Greater Antiphons”, in conclusione un altro brano del grande russo, “Dances concertantes”. La partitura galantiana con inquiete e cupe descrizioni notturne, momenti da suspence cinematografica quasi che in sala si approssimasse qualcosa di sinistro. Qualcosa di maligno. Orchestrazione raffinatissima, strategicamente equilibrata, con solidi paletti per non far prevalere, probabilmente, gli “attori” (i due piani e l’ensemble). Ritmi e improvvisi spiragli lirici dalle atmosfere nordicamente romantiche. Un lavoro enciclopedico germinato su un terreno culturale a dir poco vasto. Per certuni, “molta carne al fuoco”.

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Poi la star, tutti davanti a Pärt: ormai aspetto da monaco, uno dei più eseguiti al mondo. Ovazioni alla sua sola comparsa. La mente di molti è andata al suo “Tabula rasa», punto di riferimento. Anche il nuovo brano rovescia gli animi, porta pace e distende. Momenti di spiritualità e bellezza dei colori: in “Greater Antiphons” – prima delle “Dances” -: compaiono accordi aperti, spazializzati, come corali, una visione organistica offerta da una formazione di soli archi. Mistica e magia. E il tempo si ferma. Non si sbaglia a dire, tra il serio e il faceto: “Un mondo a Pärt”. A fine concerto, con momenti in cui l’applausometro ha toccato punti considerevoli – in termini di intensità e durata – la processione dei curiosi, dei musicisti, degli amici nei camerini, dove al centro dell’attenzione c’era un Part generoso perle domande, gli autografi e le foto-ricordo. Un rito che regala qualche immagine: praticamente i big del post-modernismo (o neoromantici, che dir si voglia), per dirne alcuni in ordine sparso: insieme al protagonista Carlo Galante, spuntano Fabio Vacchi e Marco Tutino; e ancora, i più giovani Orazio Sciortino e Lodi Luka, il vibrafonista-percussionista dei Sentieri Selvaggi Andrea Dulbecco (il suo sodale dell’Aisha duo Luca Gusella arruolato ai timpani per Part & Co.); in sala notati pure Andrea Melis, direttore della Civica scuola di Musica “Claudio Abbado” e i compositori Paolo Coggiola, Alberto Cara e ancora, la pianista e compositrice Francesca Badalini.