Ora va forte il fetish, gli orari sono diversi, ogni città ha il suo, o quasi: a Londra si entra presto, in Italia verso la una o le due del mattino, a Berlino la situazione è H24. Paese che vai discoteca (o club) che trovi. Ma il concetto del «very important person» che arriva e che fa esclamare «bella gente!» resta e prospera, ovunque. E quante storie.

Costanza Antoniella ne sa molte di queste cose: è una «guerriera della notte»: 35 anni, natali bolognesi, laurea in Relazioni internazionali e una grande passione per la musica e le piste da ballo. E un colpo di fulmine: «Sono andata in vacanza a Berlino e ho deciso di fermarmi a viverci». Gli interessi musicali, i lavori nella comunicazione (in start up di digital marketing) e i locali l’hanno portata a fondare, con l’amico monzese Diego Vicinanza, una società più «unica che rara»: «Groovyèra», che si occupa di comunicazione digitale appunto, per i deejay che vogliono tenere in «buona salute», o alzare, la propria popolarità. Un mestiere nuovo, pare: «Social media marketing per l’ambiente musicale e i Dj». Scelta che presupponeva, presuppone una profonda conoscenza della «disco», dell’ambiente e dei suoi personaggi. Parliamone, per capire che cosa è cambiato, in questo movimentato mondo, come sempre e da sempre popolatissimo.

Costanza, come è cambiato il mondo dance?
«È cambiata la consolle, nel senso che con l’arrivo dei social-media il filone underground ha perso quota. Ora, nell’era dei social e dei follower, per la scelta del Dj più che mai gli impresari guardano a quante persone l’artista riesce a portare nel locale».
Sulla pista che cosa succede?
«Più che mai la gente si vuole far vedere. Prima si usciva per andare a ballare; ora, di più e sempre di più, si esce anche per mettersi in mostra. Un fatto generazionale. Si girano video da mettere in Rete, si fanno selfie e si producono immagini per instagram. Insomma i social, in pista, “ballano” con noi».
E prima, molto prima?
«Prendiamo gli anni Ottanta, il periodo della prima elettronica, un periodo di “rottura”, di ricerca di altre strade e identità. C’erano i punk, i paninari in Italia, i new romantic e i dark, e avanti così, con relativi comportamenti e abbigliamenti».
Negli anni Novanta?
«Andava fortissimo la riviera romagnola. Locali come Echoes, Nove Nove Club, Villa delle Rose e in primo piano il sempre glorioso Cocoricò di Riccione. Panorama notturno che aveva più attrattiva di Ibiza, allora».
Chi erano i protagonisti?
«Penso a Claudio Coccoluto, Marco Trani, Cecchetto e Ricci Jr. La figura del Dj era diversa. Era qualcuno che si “sporcava le mani”».
Cioè?
«Figure fondamentali, in discoteca. Una persona che “ricercava” musica innazitutto, coi dischi in vinile. Erano maghi dell’animazione ma a volte si presentavano in condizioni “disperate”. Si racconta ancora di quel Dj famoso, di cui è meglio non fare il nome, che cadde in avanti sulla consolle. Di colpo, la musica, tutto si fermò nello sbigottimento generale».
Si parlava dei «mostri della notte»…
«Una certa vita, una certa musica, per esempio la musica elettronica spesso è andata di pari passo anche con lo sballo. Elementi che non si escludono».
Ora che succede, quali le piste più «forti»?
«In Europa importante è la piazza di Berlino, per quanto riguarda soprattutto il genere techno, è uno degli epicentri. Qui ci sono locali assai noti, dove ci si va ormai anche solo per vederli. Ci sono il Renate e il KiKat, ma in quest’ultimo non ci sono mai andata. Mi piace molto il Berghain, dove spesso vado e dove appena arrivi il “door selector”…».
Chi è questo signore? Sarà tipo un buttafuori…
«No, è qualcuno che decide se quella sera entri nel locale oppure no. C’è in gran parte dei club della notte. Il Berghain è famoso pure per questo».
Chissà che cosa succede?
«C’è il buttafuori che è considerato il più famoso del mondo, è rigoroso. A volte davanti all’ingresso, da lui controllato, si formano file lunghissime. E qualcuno resta fuori».
È la dura vita del nottambulo.
«Ma il premio finale c’è. Berlino è una città piena di possibilità e molto libera. Ogni club è particolare, ce ne è per tutti i gusti. Ci sono posti, come i sex club aperti a tutti, dove oltre che a ballare, a passare una serata normalmente, si può fare sesso, anche davanti agli altri. E magari se all’ingresso non ti presenti in stile fetish non ti fanno entrare».
Andiamo avanti a guardare il mappamondo…
«A Londra c’è il Fabric, a Parigi il Rex Club, a Barcellona il Razzmatazz, poi c’è la scena, pazzesca di Amsterdam, la città di festival; come locali c’è il LoFi, il Radion e il De School».
E L’Italia dove la mettiamo?
«Tra i club importanti, il Link di Bologna, a Milano il Plastic, e ancora il Tempio del futuro perduto. C’è il Serendipity a Foligno. E per quanto riguarda la scena pugliese, il Sound Department di Taranto, il Guendalina».
Ogni club una musica: che cosa piace ballare?
«In questo momento, sulle piste di mezzo mondo, vanno forte l’hard techno e la trance. Diciamo che questi generi sono di moda. Sound martellante e psichedelico che quasi ipnotizza. Piace molto ai più giovani».
Sound ricercato e funzioni diverse della musica, o no?
«Personalmente seguo e mi occupo di un altro tipo di techno, più elegante, con sonorità più interessanti. Le funzioni restano sempre un po’ quelle. Il dance è quel posto dove puoi andare a sfogare le tensioni della settimana, luogo di incontri. Parlo di locali per la gente adulta».
Ma anche a farsi vedere, in questa civiltà dove l’immagine conta…
«Se sei a Berlino e vai in alcuni club, sempre filone techno, adesso domina lo stile fetish (calze a rete, mini abiti in Pvc, completi in latex e harness). Nel Nord Europa si vestono un po’ di più in nero. Se vai in altri luoghi magari, posti di mare, non tramonta lo stile degli “incamiciati”. Se vai poi a Ibiza beh, c’è un po’ di tutto e al mare va sempre bene così».
Chissà quanti vip.
«Ci sono sempre stati. Quando ero una ragazzina in discoteca vedevo Valentino Rossi, per esempio. Ho visto Cesare Cremonini, insomma tanti artisti e musicisti».
All’appello mancano i Dj attuali della scena più mainstream: facciamo qualche nome tra i più «importanti»?
«Sicuramente Peggy Gou, Charlotte De Witte e Amelie Lens. Davanti alla consolle portano migliaia di persone. Quest’epoca è piena di donne Dj. È uno dei fenomeni del momento che si riscontrano sui social: vince chi ha più follower. Vanno tanto i deejay influencer».
A proposito: lei si occupa di questo, di supportare sui social questi artisti…
«Sì, con la società “Groovyéra” creiamo delle strategie per i canali social scelti dall’artista, normalmente “Instagram”. Gli obiettivi sono far conoscere al pubblico prima il cliente e, attraverso il web,Z mantenere “interessante” e proficuo il flusso dei follower che è anche la cartina di tornasole della sua popolarità. Che vuol dire più o meno lavoro».
Un nome originale «Groovyéra», una professione nuova.
«Il nome è nato pensando alla parola “groove” (serie ritmica che si ripete, ndr) e alla parola “Groviera”, il nome del famoso formaggio». Una nota di genuinità e simpatia, in un mondo spesso trasgressivo, sempre scatenato. E ora più che mai… digitale.