Biennale Musica Venezia / Frontiere dell’avanguardia elettronica: ecco gli Autechre
Sonorità aliene al centro della giornata di giovedì 26 ottobre. Alle ore 19 il giovane artista di Biennale College Musica Fabio Machiavelli con “Machines Inside Me” in Sala D’Armi A. Alle 21 il leggendario duo di Manchester Autechre per la sezione club micro-music al Teatro alle Tese (Arsenale).
Lavora con strumenti automatizzati e auto-costruiti il percussionista e compositore toscano Fabio Machiavelli. Classe 1993, Fabio Machiavelli che ha studiato percussioni con Jonathan Faralli e composizione con Giovanni Verrando, Daniele Ghisi, Andrea Agostini, torna allo strumento fisico. Machines inside me, l’opera presentata in prima assoluta all’interno della sezione Digital Sound Horizons, ha per protagonisti tre strumenti attivabili sia in modo indipendente che attraverso performer. Preceduta da una piccola mostra fotografica che introduce lo spettatore alle componenti meccaniche e sonore degli strumenti, così visivamente scomposti, la performance mette l’oggetto sonoro al centro dello spazio permettendo al pubblico di vederlo azionarsi prima da solo e poi da due performer familiari con il lavoro di Machiavelli: Núria Carbó Vives e Alberto Anhaus.
È un duo che ha fatto storia quello degli Autechre, nato nel 1987 da Rob Brown e Sean Booth. Originari di Manchester, gli Autechre raccolgono consensi fin dall’esordio nel 1993 con l’album Incunabula, divenendo il gruppo più influente della scena elettronica degli anni novanta, cui imprimono una svolta album dopo album. Grandi sperimentatori, gli Autechre percorrono strade che li portano verso trame sonore sempre più complesse, irte di suoni ottenuti dalla sintesi granulare, da procedimenti generativi, dall’impiego di software di scrittura. E’ così che rappresentano a tutt’oggi l’ala d’avanguardia dell’elettronica internazionale con concerti che sono un marchio di fabbrica, immersi in un’oscurità che richiede concentrazione assoluta sull’atto dell’ascolto da parte della numerosa schiera di fan che li segue come un culto.
“La questione per me – spiega Sean Booth – è sempre ruotata attorno al sentire. Qualche volta mi chiedo se le nostre emozioni sono troppo sottili per essere percepite. Non puoi pensare che non percepiamo nulla. Voglio dire, quale sarebbe il senso di fare musica, se non sei in grado di percepirla?” (New York Times, 2020). Proseguono le conferenze con gli artisti della Biennale Musica alla Biblioteca della Biennale con Guy Ben-Ary, Nathan Thompson, Ali Nakrang e Yoko Shimzu sul tema “Surrogate performer in music” (ore 11).