Che fine ha fatto il Berlusconismo?
Il primo post del’anno comprende gli auguri affettuosi per i commensali, quelli più visibili che scrivono e quelli più defilati ma sempre qui presenti. E’ anche l’occasione per cucinare l’ultimo pezzo che ho scritto nel 2009 sul Giornale: a mio avviso è un ingrediente che dovremmo usare anche questo nuovo anno.
Se cercate un candidato di Berlusconi alle prossime elezioni regionali, datevi pace. Non lo troverete.
Certo le caselle del Partito della libertà, dal Piemonte alla Calabria, sono tutte occupate. E il Pdl, c`è da scommetterci, elettoralmente farà l`en plein: viene dato oggi al 40 per cento. Ma che fine ha fatto il berlusconismo? Dove sono gli eredi di Publitalia, quelli che venivano considerati dei minus habens della politica, ma che nei fatti hanno gestito, per citarne due, il Piemonte con Ghigo e il Veneto con Galan? Finiti, cancellati, spariti.
Il blocco sociale a cui Berlusconi si rivolge, quello che con una buona dose di semplificazione, conta piccole e medie imprese, professionisti, eredi della tradizione moderata della Democrazia cristiana come vengono rappresentati nelle elezioni regionali che saranno l`appuntamento politico clou del 2010? Qualcuno veramente crede che la signora Polverini, un`abile sindacalista più vicina a Gramsci che ad Hayek, possa essere la sintesi, come direbbe Tremonti, del berlusconismo? O che possano esserlo Cota in Piemonte e Zaia in Veneto, entrambi leghisti ed entrambi portatori solo di un aspetto (quello federalista) della rivoluzione berlusconiana.
O che alla recente tradizione berlusconiana possano essere ricondotti l`ottimo Formigoni in Lombardia e Scopelliti in Calabria? Si può anche prendere atto che il berlusconismo sia finito e che la sua naturale evoluzione sia quella di sciogliersi in un partito aperto, plurale. Ma chi ci crede? Qualcuno veramente ha la presunzione di ritenere che il risultato elettorale delle Regionali non sarà ipotecato da Berlusconi e solo in seconda battuta dalla condotta del suo governo. Le elezioni regionali sono state spesso, anzi quasi sempre, un pubblico sondaggio sul gradimento dell`esecutivo in carica: negli anni la tendenza si è rafforzata, personalizzata. E così sarà anche questa volta. Con il particolare che il leader indiscusso del governo non avrà nessuno dei suoi uomini a rappresentarlo.
Che sia una situazione ambigua è fuori di dubbio.
Né vale molto ridurre la questione a un puro gioco di convenienza all`interno della maggioranza. Non concedere, per esempio al partito di Bossi, una forte rappresentanza territoriale avrebbe compromesso la tenuta del gover- no. Il punto è proprio questo.
Fino a quando Berlusconi riuscirà a tenere insieme il suo blocco sociale: a che altezza l`asticella dell`insoddisfazione peri compromessi raggiunti si dovrà fissare? Fino a quando Berlusconi avrà la capacità inclusiva di tenere tutti dentro, continuando a fare passi indietro. Come nella foto, il rischio è che passo dopo passo trovi il burrone e ci cada, involontariamente, dentro.
Le tasse che non si toccano, gli aiuti alle grandi imprese, le liberalizzazioni rallentate, il flirt con Cisl e Uil e ora l`assenza di una traccia nelle candidature, danno il senso della scommessa del premier.
La geografia delle candidature del centrodestra alle elezioni regionali si può anche interpretare con l`atteggiamento di un premier a metà strada tra il disinteresse e la necessi-tà di tenere insieme una coalizione.
Forse sarebbe meglio dire che le due pulsioni convivono.
Forza Italia e il berlusconismo non hanno mai avuto una radice territoriale e vi è dunque una buona predisposizione a concedere posizioni a terzi sull`altare della buona convivenza. L impossibile però non cogliere in questo atteggiamento un certa contraddizione: da una parte si cerca di rendere il partito plurale e con il predellino lo si è anche reso. Dall`altra si rinuncia a radicare una nuova classe dirigente sul terreno locale della politica e ci si accomoda nella scelta del già visto. Sarebbe sbagliato pensare a un premier azzoppato. È al contrario la sua personalissima forza elettorale chepermette alla coalizione di «giocare» con i candidati.
Ma è un gioco molto rischioso.