Quale associazione ha riconosciuto pubbli­camente Giulio Tremonti come il migliore custode dei conti pubblici? Confindustria, of course. Quale giornale lo ha celebrato co­me uomo dell’anno? Il Sole della Confindu­stria, naturalmente. In quale documento si rie­sce in un colpo solo a san­tificare il solito Tremonti, per i conti, Sacconi per il libro bianco e la cassa inte­grazione, Brunetta per la riforma della Pubblica amministrazione, la Gel­mini per gli sforzi sul­l’istruzione, Matteoli per l’accelerazione dei cantie­ri, Scajola per gli incentivi alla domanda? Nel discor­so tenuto da Emma Marcegaglia ai suoi asso­ciati nel maggio del 2009, ovviamente. Il Giornale all’epoca commentò così, in prima pagina: «Le dolci banalità della signora Confindu­stria ».

Oggi siamo passati a banalità nuo­ve, ma di segno opposto: «Gli im­prenditori mai lasciati così soli» di­cono a Viale dell’Astronomia. Quel­l­o che era chiaro ieri e lo è altrettan­to oggi, è che Confindustria è diven­tata un partitone politico. Non già una grande e sana lobby delle im­prese, del mercato, della concorren­za. Collaterale al governo fino a ieri, e opposizione a fasi alterne oggi.

Sergio Marchionne, in una velo­ce intervista televisiva, ha detto ieri di sentirsi solo, anch’egli. Peccato che la sua solitudine derivi più dalla totale assenza di sponda da parte della confindustriale Federmecca­nica, nella vertenza contrattuale di Mirafiori,che dall’assenza del mini­stro del Lavoro, Sacconi, che invece ha supportato Mr. Fiat. Se Confin­dustria si mette a far politica sono guai per l’organizzazione. Certo per il presidente pro tempore si trat­ta di un’opportunità per trovare uno scampolino di visibilità al ter­mine del suo mandato. Ma restano le imprese che pagano le quote, gli imprenditori che combattono sul mercato. Si può dire che la base con­findustriale sia improvvisamente (come la signora Marcegaglia)pas­s­ata da una fase di sponsorship del­l’esecutivo a una di aperta ostilità? La risposta è evidentemente no. Co­me dice bene un industriale al Gior­nale : «La nostra base vuole che la propria associazione stimoli ogni governo, ha una paura blu di ritro­varsi un esecutivo alla Prodi-Peco­raro, ma alla fine vota per il meno peggio, e cioè ancora il Cavaliere». Il governo ha fatto esattamente ciò che la Marcegaglia diceva nel 2009.

Anzi ha fatto anche qualcosi­na di più: ha rispettato l’impegno (come si auspicava in quella famo­sa relazione) a portare a termine una riforma universitaria ed ha av­viato la riforma della giustizia. Evi­dentemente ciò non è sufficiente, non solo per Confindustria, ma per chiunque abbia a cuore un Paese più libero. Nel resto del mondo in­dustrializzato i governi abbassano le aliquote sulle imprese mentre da noi sono bloccate. La nostra buro­crazia ( nonostante Brunetta) è una montagna ancora da scalare. E la giustizia è quello che è (ma non ci sembra di aver visto grandi batta­glie confindustriali su quella bom­ba atomica che si chiama legge 231 e che può portare al commissaria­mento delle imprese). Ma ciò che forse non è chiaro a una certa parte di Confindustria che passa troppo tempo a Roma e poco, pochissimo in azienda (sempre che ce l’abbia) è che gli imprenditori veri, al contra­ri­o della Marcegaglia vogliono esse­re lasciati soli. Dallo Stato un’impre­sa seria, e cioè un’azienda che fattu­ri sul mercato, chiede però che quel minimo sia fatto senza sbavature. Possono sopportare le tasse da rapi­na, ma le vorrebbero pagare con semplicità e senza controlli ex post da Stasi fiscale. Vogliono le regole, ma non possono tollerare che il trat­t­amento dei rifiuti di un parrucchie­re sia messo sullo stesso piano di quello dell’Eni. Pretendono un principio di proporzionalità, che grazie a San Vignali e al suo statuto delle imprese, si applichi nei con­trolli e nel rigore dello Stato verso le piccole imprese.

Una Confindustria ridotta a slo­gan e videomessaggi, assomiglia co­sì tanto alla politica che, a ragione, si intende criticare.

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