Si fa presto a dire tagli
Sarebbe più serio che qualcuno si alzasse e dicesse semplicemente: è assurdo tagliare la spesa pubblica. E invece no. Tutti a parole si dimostrano seri, rigorosi, attenti al futuro. Tutti dicono che si deve contenere la spesa dello Stato. E poi quando ci si azzarda a intervenire su un capitolo di spesa, apriti cielo. Forse anche per questo il governo quando prende le forbici, si affretta a nasconderle e fa finta di niente (come nel recente caso delle pensioni) e si gira dall’altra parte fischiettando. Ma ce lo vogliamo mettere in testa una volta per tutte che il nostro Stato spende (male) i nostri quattrini in tre conti principali: previdenza, sanità e pubblico impiego. Stop. Il resto è praticamente incomprimibile. Certo al bar vi dicono: «Si riducano gli sprechi, si tagli la politica». Ecco, appunto. Gli sprechi si annidano esattamente in quei tre capitoli di spesa. Mentre per quanto riguarda i costi della politica si sta montando una balla favolosa (dal punto di vista puramente contabile). Per carità, essa costa decisamente troppo. E per di più vedere scendere dalla macchina pagata dai contribuenti la signora ministra con la borsetta o l’onorevole deputato a non so che, ti porta a pensare che forse si sarebbero potuti prendere (e per grazia ricevuta) un taxi. Ma se vogliamo parlare di quattrini, quattrini veri, quelli che mancano nelle casse dello Stato e che il governo (di qualsiasi colore sia) ci vuole togliere dalle nostre, ebbene se vogliamo parlare di quei quattrini non facciamoci illusioni, la politica ci può dare relativamente poco. Dovrebbe farlo solo per rispetto ai nostri sacrifici, ma non perché rappresenti la soluzione. All’anno la politica (bilancio dello Stato) ci costa circa tre miliardi di euro. Diciamo pure che si riesca a dimezzarla (e sarebbe un risultato mai ottenuto in nessun altro capitolo di bilancio), avremmo un risparmio di 1,5 miliardi. Benedetti.
Che si facciano. Ma non bastano. Il solo blocco della rivalutazione per tre anni delle pensioni (di cui si è parlato in queste ore) vale due volte e mezzo di più: circa quattro miliardi. Eh, ma le pensioni non si possono toccare. La spesa pensionistica è sacra. Ma come ben sanno Amato (che nel ’92 bloccò come Tremonti le rivalutazioni) e Prodi (che fece la stessa cosa nel 1996) la previdenza è la voce più importante del nostro bilancio pubblico e vale 236 miliardi di euro. Negli ultimi tre anni la spesa pensionistica è cresciuta di 22 miliardi e nei prossimi tre crescerà della bellezza di 34 miliardi arrivando a quota 270 miliardi di euro di spesa all’anno (fonte Def). Lasciamo tutto così? Si può.
Ma allora andiamo sulle altre spese. I pubblici dipendenti ad esempio. Sono il secondo capitolo di bilancio dello Stato e valgono un’uscita da 170 miliardi. E qua Tremonti c’è già andato duro: tra blocchi dei contratti e riduzione degli stipendi d’oro è uno dei pochi capitoli di bilancio che da qua al 2014 avrà una crescita vicina allo zero. Certo si potrebbe licenziare, come hanno fatto all’estero, qualche decina di migliaia di dipendenti pubblici. Pensate che la cosa sia indolore? Qualcuno ritiene politicamente accettabile questo genere di taglio? Naaaaa.
Scorriamo i capitoli del bilancio e arriviamo al terzo gradino: la Sanità che si pappa 113 miliardi di euro l’anno. Negli ultimi tre anni è cresciuta di 12 e così farà per i prossimi. Anche qui non sembra così facile intervenire. Per l’introduzione del ticket (che in realtà è una nuova tassa) ma che dovrebbe avere l’effetto di razionalizzare il ricorso ad esami e interventi, si è scatenato un putiferio. Scendiamo ancora giù e troviamo i circa 60 miliardi di euro che lo Stato spende nel capitolo «altre prestazioni sociali» dove la componente più importante è la cassa integrazione. Quest’anno sono stati aggiunti all’ultimo 600 milioni per quella in deroga, a favore delle piccole e medie imprese. In periodo di crisi economica non è facilissimo potare da queste parti.
Non ci dilunghiamo, ma potremmo continuare per ore. Chi scrive ritiene indispensabile ridurre la spesa pubblica. Nel 2010 è arrivata a quasi 800 miliardi di euro, più del 50 per cento della ricchezza prodotta in un anno in Italia. E nel 2014 essa balzerà a 860 miliardi. In buona sostanza nel triennio la spesa pubblica salirà di ulteriori 60 miliardi di euro, 20 in più della manovra finanziaria in corso di approvazione.
La spesa pubblica non si taglia per magia e l’operazione è politicamente e socialmente dolorosa. È del tutto evidente che all’interno del bilancio pubblico ci siano delle sacche di grasso sulle quali agire. Ma sono dei poveri illusi coloro che pensano di cavarsela con taglietti applauditi per strada, del genere riduzione dei costi della politica. Al nostro bilancio dello Stato serve un antibiotico, non un aspirina. L’alternativa è continuare a pensare che le entrate riescano sempre a rincorrere le spese. Siccome le entrate nei bilanci dello Stato si chiamano imposte, agire su questa leva appare ancora più difficile. Oltre che sommamente ingiusto, sia eticamente sia economicamente.
Ps. L’ultima via d’uscita, che sembrerebbe quadrare il cerchio, è quella del recupero dell’evasione fiscale. Pfiuuu. Qualcuno si è reso conto di cosa stia accadendo da quando Tremonti e la sua Agenzia delle entrate hanno pestato il pedale dell’acceleratore e si è portato un recupero di cassa da 10 miliardi mai visto nel passato? Proteste in tutta Italia e spesso a buona ragione.