Quanti lunedì neri ci aspettano
La parola d’ordine degli operatori di mercato è Eurotrap: ci troviamo nella trappola dell’euro. Facciamo subito una premessa, tanto per essere chiari, riguardo alle faccenduole di casa nostra. La manovra fiscale del governo Berlusconi non incide nella carne viva della spesa pubblica italiana. Ha poche misure per lo sviluppo. E per l’inserimento di una delle poche che si è azzardata ad inserire (la libertà vigilata sui licenziamenti) oggi il Paese si trova bloccato per uno sciopero alla greca. Ma non c’è manovra fiscale che possa bloccare l’Eurotrap. O meglio si potrebbe ascoltare Alessandro Profumo e piazzare una stangata da 400miliardi. Cercasi candidato. Purtroppo la politica non è Unicredit (che per la verità, un po’ come l’Italia, oggi vale quanto un paio di pagine di Google).
E una manovra da 400 miliardi, circa un quinto della nostra ricchezza annuale, vorrebbe dire sprofondarci nella più cupa depressione.
Ritorniamo infatti al dilemma dell’Eurotrap. Il modo più comodo per descriverlo è la crisi del ’92. La trappola all’epoca era sulla lira. La sua parità con il marco era intorno a quota 730. Ma nessuno ci credeva. La speculazione vendette lire fino a farle precipitare a quota 1.200 per marco. Una svalutazione di circa il 40 per cento. E grazie a questa valvola di sfogo che l’Italia riprese il suo cammino.Decise di entrare nell’euro circa a quota mille lire per marco. E ottenuto il risultato non fece nulla per ridurre il suo mostruoso debito pubblico accumulato in anni di consociativismo all’italiana.
La trappola in cui ci troviamo oggi è ancora più pericolosa. La lira non esiste più. E l’euro per di più fa finta di mostrare i suoi muscolacci, che non ha, con il dollaro. Il nostro debito resta una macigno. E siccome esso si definisce in rapporto alla ricchezza prodotta da Paese (e quella nostra è stata stagnante negli ultimi anni), il suo peso sul Pil è cresciuto.
I mercati, che non sono gonzi, da almeno un anno scommettono su questa assurdità dell’euro. Un’area di Paesi dotata di una moneta unica, non svalutata, e che al suo interno ha Stati indisciplinati dal punto di vista fiscale. Ha prima beccato l’Irlanda, poi la Grecia, poi la Spagna e il Portogallo, e ora il grande colpo sull’Italia.Non è colpa dei mercati: è colpa nostra. Negli ultimi anni ci siamo affannati a tenere i conti annuali relativamente in ordine più dei nostri partner europei. Il problema non è il pareggio di bilancio di oggi o di domani, ma i deficit accumulati negli ultimi cinquanta, la cui somma ha creato il debito pubblico. È scattata così la trappola. E domani potrebbe diventare mortale. Mercoledì la Corte Costituzionale tedesca si pronuncerà sulla facoltà della Bce di comprare titoli di Stato emessi nell’eurozona.
Se l’alta corte tedesca dovesse bocciare questa procedura, il panico di questi giorni sarebbe poca cosa. E le ultime dichiarazioni improvvide della Merkel (che guarda con preoccupazione alle sue numerose sconfitte interne) con-tro l’Italia, gettano benzina sul fuoco.
Quello che sta avvenendo infatti è una copia, sbiadita, di ciò che è avvenuto negli Stati Uniti tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. Con l’economia americana in ginocchio, la loro banca centrale ha iniziato a comprare titoli di tutte le speci: ha immesso sul mercato circa 2mila miliardi di dollari ( l’equivalente del Pil italiano). Le banche hanno ripreso a fare affari e l’economia si è rimessa lentamente in moto. Insomma la Fed ha comprato tempo. Se la Bce dovesse smetterla di comprare titoli italiani, il nostro tempo sarebbe finito, così come quello dell’euro. Alcuni uomini della Bce stanno già studiando un crash test dell’euro. Semplificando: come poter tornare indietro. Ecco perché il contagio si è rapidamente propagato sui mercati azionari e sulle banche. Ci troviamo nell’imbarazzante situazione in cui non ci si fida più della nostra moneta unica, come riserva di valore. Roba da uomini della caverne, o se preferito, scenario Lehman.
Mettiamo infine in ordine le caselle. Il governo Berlusconi ha fatto i suoi compiti ordinari. Non ha dato una svolta strutturale alle nostre pesanti eredità. Nello stesso momento la gran parte dei Paesi europei (Francia,Germania,Spagna e Italia producono l’ 80% della ricchezza continentale) è scivolato sulla via italiana: spendendo molti quattrini pubblici per uscire dalla crisi dei subprime. Il debito pubblico europeo è diventato molto alto. Dall’altra parte dell’oceano è avvenuto lo stesso processo: Obama ha trasferito i debiti dei privati al tesoro americano. L’economia a stelle e strisce negli ultimi due anni non ha creato occupazione e la sua crescita si è rivelata drogata dalla spesa pubblica. Chi ha due soldi in tasca (e i fondi di tutto il mondo hanno una liquidità gigantesca) scappa da tutto ciò che ha un grado minimo di incertezza. Compra i Bund tedeschi perché si fida della Germania e i TBond americani perché si fida della Fed (che ne compra a bizzeffe). E vende tutto il resto. A partire dalla carta più rischiosa come quella italiana. O quella delle banche di tutta Europa che nei loro bilanci potrebbero nascondere molte cattive sorprese.
C’è una soluzione?Le grandi crisi finanziarie sono sempre nate da un eccesso di debito. E questa non fa eccezione. E purtroppo da esse se ne esce (è sempre avvenuto così) ripudiando lo stesso. Talvolta se ne occupava l’inflazione. Talatra le svalutazioni. Sarebbe già un privilegio scegliere.