La guerra alla Germania è stata già dichiarata da un pezzo. Il problema è che l’Italia, come al solito, deve decidere da che parte stare.
Riepilogo delle alleanze passate. Berlusconi imperante, la Germania era il nostro (anzi il loro) migliore alleato. Giornali, opinionisti, economisti e barzellettieri stavano tutti con la «Culona». Ma poi davvero il Cav la definì così? Vabbè, importa poco. La storia resta: fino a novembre dell’anno scorso, la Cancelliera tedesca era intoccabile. Giusto il suo rigore. Corrette le sue pretese. Sacrosanto il suo atteggiamento e le risatine sull’Italia dell’odiato Cav. Insomma la strada era quella tedesca. Tanto che lo stesso governo Berlusconi pareva essersene convinto. In un’estate di pasticci e di fuoco aveva anticipato il pareggio di bilancio al 2013, grazie a una manovra di lacrime e sangue. Ma non bastò. I mercati sembravano impazziti. In realtà essi sono molto più razionali di quanto si ritenga: poiché dalle loro scommesse si traggono molti quattrini. E la scommessa all’epoca come oggi era contro l’euro e non contro l’Italia in sé. Lo spread tra i titoli a dieci anni dell’Italia e quelli della Germania erano schizzati ai massimi. I nostri tassi di interesse a breve toccarono quota 8 per cento. Una tempesta. Si pensò, anche con qualche buon motivo: è tutta colpa del Cavaliere. L’asse con i tedeschi è quello giusto. In fondo l’austerity che propongono, e cioè di non spendere più di quanto si incassi, è semplice buon senso. Giornali, economisti e barzellettieri sostennero che la tempesta non era quella sull’euro, ma quella sul Cav. Perfetto. Cambiammo presidente del Consiglio e scegliemmo il prototipo del tedesco in Italia. Vi ricordate quando Mario Monti disse, più o meno, che gli italiani dovevano diventare tutti un po’ più tedeschi? E i suoi primi viaggi dalla Merkel? Chi meglio dell’ex commissario alla concorrenza, corredato dal suo manipolo di tecnici, poteva dare fiato alla nostra alleanza italo-tedesca? Passano le settimane, il mercato si quieta. Gli spread tornano sotto quota 300, i tassi di interesse a breve su livelli accettabili. Tutto fila liscio come l’olio. Fino a quando, patapumpete: si inizia a ballare di nuovo. È la cronaca delle settimane scorse. Ma questa volta il problema non è più nel manico, nel premier. È nell’alleanza: nell’ostinazione tedesca a non voler salvare la Grecia, la stessa che esisteva anche ieri. La pretesa di volere il pareggio di bilancio diventa assurda.
Et voilà, si cambino le alleanze. Basta con la Merkel, il cui fondoschiena si è incicciottito per tutti. E la riduzione della spesa pubblica, poi? Si tratta di una fesseria. Scene di trionfo si sono viste per la vittoria di Hollande, un socialista di sinistra che tra i suoi punti qualificanti nel programma ha: abbassare l’età del pensionamento, aumentare le tasse e non farsi vedere a braccetto con la Merkel. Nel giro di poco e con un rapido passo di valzer siamo passati da generosi alleati dei tedeschi a loro nemici convinti. Ma avete letto i giornaloni delle ultime settimane? E gli opinionisti che oggi scoprono la cocciutaggine tedesca dove erano fino a ieri?
Eppure le cose che avvengono oggi, si potevano vedere anche ieri. L’euro è stato costruito con i piedi. O meglio, con la testa di alcuni funzionari e tecnocrati europei che, come spesso avviene, costringono la realtà ai propri modelli. E la Germania ne ha tratto grandi benefici. Noi abbiamo comprato tempo (grazie a tassi di interesse contenuti sul debito) che non abbiamo saputo sfruttare. La bilancia dei pagamenti correnti nel decennio terminato del 2000, era negativa per la Germania per 126 miliardi di euro e positiva per l’Italia di 53. Ciò che è avvenuto nel decennio dell’euro è l’opposto, ma amplificato. L’attivo della bilancia tedesca è stato della bellezza di 1.790 miliardi e il nostro passivo per 388.
La Germania degli affari ha tratto grandi guadagni dal mercato e dalla moneta unica. Nel frattempo l’Italia, e non sola, non ha migliorato la sua situazione economica. Questo è il grande buco della costruzione dell’euro: permettere una divergenza finanziaria ed economica di queste proporzioni.
La situazione della Grecia oggi, domani della Spagna, e dopodomani dell’Italia potrebbe essere rappresentata come quella di una rapina. Il rapinatore (oggi Atene) tiene in ostaggio un gruppetto di nazioni (la Spagna, l’Italia, l’eurogruppo), minacciandoli di morte. E là fuori il poliziotto buono, cioè la Germania, che grida: spara, spara se hai il coraggio.

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