Monti, un premier o un editorialista?
La differenza tra un prestigioso editorialista e il premier, è che al primo è concesso pontificare, al secondo sarebbe richiesto di governare. Riteniamo che il presidente Monti ogni tanto si scordi di non stare più al Corriere della Sera, ma a Palazzo Chigi. Sia detto con chiarezza: il mestiere dell’opinionista è relativamente semplice. Deve intercettare i suoi lettori. Il premier dovrebbe governare il Paese. Monti nei giorni scorsi ha detto cose giustissime sulla scuola; sacrosante e coraggiose sulla corporazione dei professori. Ma nella legge di stabilità che sta approvando ha cancellato proprio quei codicilli che l’opinionista considera giusti. Due giorni fa il presidente del Consiglio ha detto in modo chiaro e netto che un carrozzone sanitario come quello che ci troviamo non può continuare a reggere a lungo. Bene, bravo, bravissimo. Come sta procedendo per riformarlo? Davvero ha il coraggio di essere conseguente alle sue parole, introducendo ampie dosi di intervento privato nel comparto? Per la verità è passato un giorno ed ha precisato (un po’ come fece con la patrimoniale), rettificato, smentito.
Il professor Monti nel passato ci ha ammonito sul rischio di schiacciare un Paese con troppe tasse. Da presidente del Consiglio le ha invece imposte come se nulla fosse. E poi, ritornato opinionista, ci ha detto che hanno aggravato la recessione.
Lo scontro tra il dover essere e il dover fare di questo governo dei tecnici è clamoroso: i gesti non seguono le parole. Prerogativa dei più consumati politici. Il pensiero di Monti ci convince. La sua declinazione nel governo della cosa pubblica ci sconforta. È come se ci fossero due Monti: quello di via Solferino e quello di Palazzo Chigi. Il primo dice le cose giuste, il secondo fa le cose sbagliate. Governare non è semplice, anzi. Ma in questa fase (a differenza di quella originale che adottò norme sacrosante sulle pensioni) sembra che Monti guardi più al consenso che allo scontro parlamentare. Che inevitabilmente dovrebbe affrontare per perseguire le sue corrette ricette liberali.
Il vizio del doppio registro vale ancor di più per i ministri di Monti. Mentre stava crollando un comparto (quello dell’acciaio) che ci costerebbe 7 miliardi di maggiori importazioni, 1 miliardo di costi di welfare e circa 20mila disoccupati in più, il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, si trovava in Cina a «rafforzare le nostre relazioni economiche e commerciali». E la crisi veniva gestita a Palazzo Chigi dall’ottimo Antonio Catricalà. È lo stesso ministro, Passera, che è scappato dalla Sardegna del Sulcis e ha bacchettato Marchionne sulla vicenda Fiom. Un fenomeno della cosa giusta al convegno giusto. Ma a governare ci pensino altri.