I veri conti delle Banche
Per capire qual è lo stato di salute delle banche italiane conviene fare un passo indietro. E andare al cuore dei loro affari, cioè i prestiti alle famiglie e alle imprese. Insomma cerchiamo di non perderci nei derivati (che pure possono fare molto male), sui ratio (cioè quei famosi parametri sintetici con i quali si misura la solidità di una banca) o sulle quotazioni di Borsa. La banca tradizionale raccoglie i nostri quattrini e li impiega nell’economia sotto forma di prestiti. Abbiamo preso le nove istituzioni finanziarie più importanti dell’Italia. E abbiamo cercato di leggere il loro vero stato di salute. Senza tanti fronzoli. Analisti e tecnici inorridiranno. In fondo il caso Mps (che si alimenta di scandali, derivati, manager pasticcioni) nasce da un errore grande come una casa: aver pagato 10 miliardi qualcosa che, nel migliore dei mondi, valeva 6. Neanche Mazinga Zeta (e Mussari e Mps tali non erano) si sarebbe ripreso con le sue sole forze.
Ritorniamo alle nostre nove stelle (Unicredit, Intesa, Mps, Ubi, Banco Popolare, Banca po Emilia Romagna, Mediobanca, Bpm e Credem). Ebbene queste nostre signore del credito (che rappresentano poco più della metà del mondo bancario italiano) hanno prestato a famiglie (con i mutui) e a imprese la bellezza di 1.400 miliardi di euro. Si tratta quasi di due terzi dell’intera ricchezza prodotta in un anno dagli italiani. Non sempre questi soldi vengono restituiti alle banche: in un momento di crisi famiglie e imprese talvolta non pagano i loro conti. Secondo i nostri calcoli (basati sui bilanci e le stime del 2012) i crediti problematici ammontano a 208 miliardi di euro. Sintetizzando, prestano 1.400 miliardi, ma ne hanno 208 a forte rischio. Ogni anno dunque le banche accantonano una bella cifretta allo scopo di coprirsi da queste potenziali perdite. Nel 2012 le svalutazioni su crediti sono arrivate a 82 miliardi di euro. Non bastano, ci sono 126 miliardi di crediti dubbi ancora non coperti. Molti di questi prestiti sono stati assistiti da ipoteche: quando il debitore non dovesse pagare, la banca potrebbe ritornare in possesso dei beni posti a garanzia. Ma il processo è lungo e incerto. E soprattutto nessuno sa con esattezza quanto valgano davvero le garanzie. Il valore degli immobili, ad esempio, è crollato. C’è un numeretto magico che si chiama tasso di «copertura dei crediti problematici». Secondo la nostra ricerca la copertura per le nove principali banche italiane è al 40 per cento: frutto di 82 miliardi di crediti svalutati su 208 miliardi di crediti dubbi.
La risposta alla domanda da cui siamo partiti (qual è il vero stato di salute delle nostre banche) non è semplice. Ciò che si nota è che la massa di crediti dubbi (incagliati, in sofferenza, ristrutturati, in ritardo di pagamento) è decisamente elevata. E solo per il 40 per cento è stata svalutata. Si nota inoltre che le due principali banche italiane (Unicredit e Intesa) hanno coperto più di tutte le altre i loro prestiti incagliati. La più prudente e sana è stata Mediobanca, anche se non è esattamente una banca commerciale come tutte le altre. Al contrario il Banco Popolare e l’Ubi hanno una situazione che appare molto più rischiosa: solo un quarto dei loro crediti a rischio coperti dagli appositi fondi. Il Monte dei Paschi di Siena, oggi al centro della bagarre giudiziaria, sembra in una posizione di mezzo, ma comunque non drammatica rispetto ai suoi concorrenti.
C’è un grande rischio che però nel complesso corrono tutte queste banche. È che la Banca d’Italia sollecitata dal caso Mps e dall’attenzione degli ispettori del Fondo monetario internazionale, pretenda una maggiore copertura dei crediti dubbi. Se via Nazionale, che da novembre sta facendo ispezioni a tappeto in tutte le banche italiane, dovesse alzare il sopracciglio sulle coperture dei crediti dubbi, il nostro sistema bancario azzererebbe gli utili e in gran parte sarebbe costretto a pesanti aumenti di capitale.
La valutazione dei crediti in sofferenza più che un esercizio contabile è un’arte. Solo i banchieri, o meglio i loro funzionari, sanno davvero quali sono le vere partite inesigibili. Inoltre nella casella contabile «crediti dubbi» ci sono diverse interpretazioni internazionali. Gli spagnoli, che sono nei guai, hanno ad esempio sempre finto di essere più prudenti degli italiani. Sulla carta avevano bilanci migliori proprio perché non consideravano incerti prestiti da buttare nel cestino: alla fine del 2011 sembrava che le loro banche avessero coperto quasi il 60 per cento dei crediti dubbi. Si è poi scoperto che molte sofferenze non erano state considerate tali e che dunque gli accantonamenti fatti ai rischi fossero inferiori al 20 per cento. Quando i tassi sono saliti, le banche sono saltate.
In buona sintesi le principali banche italiane stanno rischiando grosso. Alcune (Ubi e Banco Popolare) sembrano più a rischio di altre. Ma tutto dipenderà dalla Banca d’Italia e dal dilemma in cui si trova. Se vorrà essere rigorosa (ipotesi improbabile) obbligherà le nostre banche ad anni di lacrime e sangue a cui peraltro non sono sottoposti i nostri concorrenti internazionali; se chiuderà un occhio (ipotesi realistica) rischia di trovarsi qualcuna delle sue vigilate con buchi nei conti economici che oggi sembrano inattesi.