Se l’etica ce la insegnano Zalesky&co
Vi raccontiamo in questa zuppa estiva la storiaccia dei sepolcri imbiancati, o meglio sbiancati, del capitalismo italiano. Mentre tutti celebrano, il Financial Times buon ultimo, la cosiddetta fine dei salotti buoni della finanza milanese, grazie al Cielo è all’opera, dalle parti di Brescia, una nobile Fondazione Etica. La generosa istituzione, fondata nel 2008, si propone di promuovere «nuove idee, ma anche nuove persone». Tra poco, abbiate pazienza, capirete per quale dannato colpo di sole, c’è venuta voglia di parlarne oggi. Dovete sapere che l’etica congrega è guidata e fondata dal professor, avvocato e ora onorevole Gregorio Gitti. Professionista di chiarissima fama, che ha avuto la sfortuna mediatica di sposarsi con la figlia di Giovanni Bazoli, numero uno storico di banca Intesa. Nel manipolo di aristocratici fondatori della Fondazione c’è anche il finanziere franco-polacco Romain Zaleski. Arriviamo così al punto, cari commensali. Ognuno è libero di creare il club che vuole. Ci mancherebbe altro. E invitare a fondarlo chi più lo aggrada. E financo titolare la propria organizzazione con l’altisonante titolo di Etica. Ma un minimo di senso del ridicolo non guasterebbe anche ai Verdurin bresciani.
Proprio in queste ore Zalesky e i suoi uomini sono alle prese con un dilemma poco etico che si trascina da un lustro. Il finanziere negli anni ottenne da Intesa (guidata da Bazoli) e da una nutrita pattuglia di banche la bellezza di 7 miliardi di euro in prestiti. Con i quali, essenzialmente, comprava e vendeva importanti pacchetti azionari in Borsa. Proprio nell’anno di costituzione della Fondazione, con la crisi finanziaria in pieno corso, il nostro Zalesky si è trovato, come si dice in Borsa, decisamente lungo. Aveva debiti per 7 miliardi e azioni che valevano molto di meno. A peggiorare la situazione era la circostanza di detenere titoli proprio delle banche che gli avevano fatto prestiti: in primis banca Intesa di cui aveva poco meno del 6 per cento. Dopo cinque anni e dopo un accordo con le banche che gli hanno consentito di congelare la sua posizione (un imprenditore normale sarebbe saltato) si trova con 2,3 miliardi di debiti e 1 miliardo in partecipazioni azionarie. Insomma con un buco di 1,3 miliardi, oltre alle perdite che le banche hanno già incamerato. Oggi, una delle banche coinvolte, Unicredit si è scocciata. E in buona sostanza ha detto al finanziere, che ancora controlla il suo portafoglio, di finirla: ripaga quello che riesci a ripagare.
Ricapitoliamo. Zalesky giocava in Borsa con i soldi delle banche. Quando c’è stata la crisi è stato pizzicato con il cerino in mano. Le banche lo hanno tenuto in salamoia fino ad oggi. Ora vogliono farlo fallire. Fate voi, cari commensali, le considerazioni sui criteri con cui Intesa e soci hanno prestato i loro quattrini. Ragionate voi sulla prova logica (come direbbe un magistrato) di essere finanziato (in primis Intesa) da una banca i cui titoli sono stati poi acquistati in Borsa. Riflettete sul fatto che Zaleski è anche azionista di peso di quella piccola ma potente finanziaria bresciana (Mittel) che è azionista di Intesa e del Corriere della Sera e di cui è dominus proprio Giovanni Bazoli, presidente di Intesa e uomo forte della Rizzoli. Insomma fate quello che si sono dimenticati di fare tutti: ragionate. Un salotto influente in Italia ancora funziona e si accomoda dalle parti di Brescia.
Con un piccolo dettaglio. E qui arriviamo al dunque. Come gli è venuto in mente a questi signori di farsi una fondazione ispirata ai principi etici? Nel loro sito si legge: «Quella di cui parliamo è l’etica come comportamento collettivo, come norma comune per la convivenza all’interno di una comunità di persone, sia essa Azienda, Partito, Banca o Stato». Va bene tutto. Ma prenderci per i fondelli è un po’ troppo.
Ps: Non si riesce a capire la logica per la quale Giulia Ligresti, nonostante il parere favorevole della Procura, la sua collaborazione con i pm, e il suo stato di salute sia ancora in carcerazione preventiva. A ciò si aggiunga la disponibilità a patteggiare e dunque a beccarsi una condanna che non prevederà il carcere. Giusto per l’aritmetica e senza alcuna implicazione giudiziaria: il falso in bilancio di cui è accusata è dieci volte inferiore alle perdite che le banche subiranno a causa del buco di Zalesky.