I bambini vanno in gita scolastica. E i genitori pagano. Gli amministratori delegati vanno a Davos. E i loro azionisti pagano. Entrambi, però, si divertono un sacco. E le analogie non finiscono mica qui. Entrambe le categorie si fanno la scampagnata affermando che è educativa. Perbacco se lo è. Per tutti è soprattutto un’ottima occasione per far casino.

Arrivare a Davos è qualcosa di mistico. D’altronde il World economic forum, come si legge nel suo dna, «è impegnato a migliorare lo stato del mondo». Il delegato sfigato sa che questa è l’occasione per farsi dare un badge da custodire in una cliptoteca. Il cartellino con foto di Davos dà una pista a quelli dei vari Ambrosetti, se la gioca con i G8 ma, soprattutto, come sempre avviene nella speciale classifica dei collezionisti di cartellini, ha diversi colori. Anche per dormire in un albergo o partecipare ad un incontro in un hotel del paesone svizzero è necessario il badge. I lettori elettronici sono una via di mezzo tra Star Trek e il fai da te dell’Esselunga.

Già quando si fa lo stradone che da Zurigo porta a Davos si capisce che la gita sarà cool . Certo i più sgamati atterrano a Samaden (a due passi da Sankt Moritz) e poi si fanno solo un’oretta di transfer. Ma non tutti possono, e di notte è difficile atterrare in Engadina. Controlli da tutte le parti. La prima riflessione che viene da fare è: ma dove li trovano tutti ‘sti poliziotti in Svizzera? E la seconda: quando ti fermano e sbirciano velocemente nell’auto, cosa cercano?

In effetti, quando si arriva a Davos, sembra di stare al bar di Guerre Stellari. È il bello della globalizzazione. Non si sta mica a Mustique, dove la categoria umana sembra essere solo bianca, occhi chiari e capelli biondi, generalmente rasati. No, qui a Davos c’è di tutto. Quel che conta è quel dannato cartellino. Senza di esso non ci si può neanche fermare in mezzo a una piazza. C’è da capirlo, con quaranta capi di Stato che girano. Il colore vale qualche decina di migliaia di euro: il prezzo per assistere de visu a ciò che tutto il mondo può vedere in streaming.

Conquistato il trofeo si può finalmente tirare un sospiro di sollievo. La gita può iniziare. Uno sprovveduto potrebbe ritenere che il centro di tutto sia il palazzone dei congressi, dove si sentono i grandi dire sempre le stesse cose, ma molto bene e da vicino. Sbagliato. Quel che conta è il contorno. I party, gli incontri, le bevute, gli hotel. Anche per entrare in questi ultimi, come è ovvio, è necessario un badge (quello marrone) e anche per entrarci è necessario passare sotto il metal detector . Ma quando finalmente si sorpassa il controllo del Belvedere è party time .

Gli alberghi, che a Davos vivono bene praticamente solo questa settimana, sono in genere dotati di una moltitudine di piccole stanzette ricevimenti. Ogni grande impresa (ma non i marchi che sono banditi) può affittarsi la sua oretta di party. Una sorta di casino delle multinazionali. Il cenno di meretricio è in genere presente sui desk di accoglienza: la vernice di un’azienda si sovrappone a caldo su quella che ha tenuto il party nel medesimo anfratto, solo pochi istanti prima. Alla porta un addetto dotato di iPad con sopra impressa la più inutile delle liste. Per i primi cinque minuti l’incaricato cerca di governare l’ingresso nella saletta. Ma rinuncia dopo pochi istanti: voi blocchereste l’amministratore delegato di Lenovo, o Procter o Vodafone (nomi a caso, per carità) solo perché qualcuno non li ha inseriti nella lista elettronica? Ma va. È qui che ci si diverte. In queste stanzette si consuma un’orgia di festeggiamenti globalizzati. Una sorta di eurotrash manageriale che si compiace di essere sempre qui, magari con incarichi e ruoli diversi, anno dopo anno. I giornalisti, ovviamente, ci sguazzano come pesci impazziti. Tra le più apprezzate la festa di Burda: almeno un salto lì occorreva farlo. Arianna Huffington la più fotografata. Bella e discreta come sempre Maria Bartiromo, la super anchor ex Cnbc (l’unico baretto che vi serviva uno straccio di hamburger per 40 franchi, cioè 40 euro, patatine escluse), che si aggirava tra i party del Wall Street Journal e quello di Forbes . Quest’ultima è riuscita a strappare nel giro di pochi istanti la saletta a una famosa società di consulenza e a cambiare veste alla ball room nel giro di pochi minuti, con una capacità invidiabile: che campioni dell’allestimento questi di Forbes . E così via, in un tourbillon di incontri, bevute e saluti, con la consapevolezza di far parte di un’ elite . Davos è favoloso. Per giorni sui giornali ci raccontano delle prese di posizione dei grandi. Ci dicono dove va il mondo, quando per la verità il mondo ha già imboccato l’autostrada, magari contromano. Ma per un marziano capitato là, sembra solo un gigantesco party, di bambinoni un po’ cresciuti, che hanno preso l’occasione al balzo per filarsela dai soliti noiosi pranzi con le proprie compagne e mogli. W la gita a Davos.

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