Perché le imprese non assumono
Ops abbiamo un problema, le imprese non assumono. E dunque la disoccupazione cresce. Il governo si è mosso tra luci e ombre. Bene o male ha restituito ai privati quasi dieci miliardi di euro (con il bonus degli 80 euro) . Poi, a partire dal 7 marzo, ha cancellato l’articolo 18 con il jobs act. Dall’inizio dell’anno ha dato un forte sgravio contributivo a chi assume a tempo indeterminato, mettendo sul piatto altri due miliardi. Da un’altra prospettiva i segnali provenienti dall’esecutivo vanno invece in un senso diametralmente opposto e cioè rispolverano una certa cultura anti impresa: con l’inasprimento della legge del falso in bilancio, di nuovo esteso anche alle microimprese, e con la rimodulazione dei reati ambientali per il quale il trattamento di un rifiuto mette sullo stesso piano una bottega del barbiere e l’Eni. L’arbitrio della burocrazia (compresa quella giudiziaria) rischia di passare dalle interpretazioni in materia di lavoro, a quelle in temi di bilancio e ambiente. Non è detto che lo scambio, per le imprese, sia conveniente.
Detto questo, bisogna essere onesti: sul lavoro il jobs act è utile. Ma allora perché la disoccupazione cresce, le imprese non assumono e, come ha scritto bene ieri Francesco Forte, aumenta la quota degli italiani che il lavoro neanche lo cercano? Semplice Watson: con una fune si può frenare un cavallo, ma non spingere. Per farla semplice se gli italiani non consumano, la ripresa dell’occupazione ce la sogniamo.
Il problema è entrare nella testa di chi deve assumere. Bastava sentire venerdì scorso lo scetticismo sulla ripresa da parte presidente della Confindustria nel convegno organizzato dai piccoli e medi industriali, per capire che qualcosa non andava. Defiscalizzazioni e nuove regole sul lavoro, servono. Potevano essere fatte meglio. Ma la politica economica, soprattutto in termini liberali, è anche l’arte di accontentarsi.
Purtroppo ciò che manca è lo choc. La sferzata. Che in Italia vuol dire solo una cosa: una generale e diffusa defiscalizzazione. Abbiamo distrutto la ricchezza con le tasse sugli immobili, continuiamo ad avere imposte sui redditi elevatissime, abbiamo aumentato quelle sulle rendite e abbiamo una tassa occulta sulla burocrazia da castello di Kafka. Per far riprendere il cavallo, bisogna dargli una botta di adrenalina. Come quella di pulp fiction: una siringata nel cuore.
Non ci sarà mai un imprenditore che assumerà un nuovo collaboratore pur sapendo che potrà licenziarlo e pur mettendo in bilancio uno sconto sui contributi di 8mila euro l’anno, se non avrà la ragionevole speranza di aver un mercato dove poter vendere i propri prodotti e servizi.