Alla faccia di chi ci dice che Trump è come l’Isis
Solo cinque giorni fa il centro studi dell’Economist (si chiama pomposamente Economist intelligence Unit) scriveva che una vittoria di Donald Trump alle elezioni per la Casa Bianca deve essere inserita fra le dieci peggiori minacce globali e per di più con lo stesso punteggio di pericolosità dell’Isis. Complimenti agli studiosi legati alla prestigiosa testata. Viene in mente una favolosa clip di un film francese del 1992, “La crisi” in cui un clandestino, senza documenti, spiega ad una banda di borghesi benestanti per quale motivo, lui nero, immigrato, senza un franco, si definisse razzista: “io vivo nelle periferie e io so cosa vuol dire convivere con gli immigrati”.
Mentre noi siamo qua a discettare dei populismi, ci stiamo perdendo il popolo. Siamo in guerra e non abbiamo il coraggio di dircelo. Siamo come anestetizzati da piccole e sanguinose battaglie che stiamo perdendo. É una guerra diversa da quelle a cui siamo abituati. Le frontiere le abbiamo in casa. La guerra la perdiamo quando il quartiere di Molenbeek si oppone e applaude al suo eroe Salah, che ha ucciso a Parigi, e che per quattro lunghi mesi si è potuto nascondere nel ventre molle di un Europa che pensa all’integrazione e si sta invece disintegrando. Ieri ne abbiamo avuto una prova lampante. Mentre la comunità musulmana belga si è perfettamente integrata (si fa per dire) a Bruxelles, i paesi confinanti hanno immediatamente bloccato le frontiere, dando il senso della disintegrazione sociale della Comunità Europea. In un paradosso allucinante per il quale il prezzo da pagare per l’integrazione multiculturale è quella di richiudersi in Stati nazione. Difendiamo i nostri diritti e le libertà di tutti e poi non alziamo un sopracciglio quando vediamo Bruxelles militarizzata, con poliziotti in passamontagna nero per le strade che sbucano dalle caserme quando ormai è troppo tardi.
Per l’Economist il problema mondiale è dunque Trump. Cosa altro deve succedere per far capire all’intelligenza europea che i cosidetti populismi non sono la malattia, ma il termometro della febbre, alta, che ha contagiato la nostra società?
Chissà se i morti e i feriti di ieri a Bruxelles hanno letto le dotte analisi dell’Economist Intelligence Unit?