Nel conflitto tra magistratura e politica di questa settimana tutto torna, si fa per dire, tranne che per un dettaglio fondamentale. Dall’orizzonte dei presunti colpevoli manca Silvio Berlusconi.

Non è al governo, è impantanato nei pasticci romani, e i sondaggi danno il Movimento 5 Stelle come secondo partito dopo il Pd, al posto di Forza Italia. Fino a qualche anno fa ci avevano spiegato che il conflitto magistrati-politica era colpa del «cavaliere nero», delle sue intemperanze verbali, dei suoi conflitti di interesse, delle sue leggi ad personam. Oggi scopriamo che il conflitto c’è, eccome, senza cavalieri in prima fila. Eppure il livello di tensione è massimo. Il neopresidente del sindacato dei magistrati, Piercamillo Davigo, rilascia un’intervista al Corriere della Sera titolata: «Rubano senza più vergogna». Intendendo i politici. E la situazione sarebbe peggiore di quella precedente di Tangentopoli. C’è da scommettere che questo giudizio sia suffragato da prove e che da domani partiranno centinaia di avvisi di garanzia indirizzati a Montecitorio o Palazzo Chigi. Davigo, tanto per chiarire, è stato eletto dai suoi colleghi con un voto plebiscitario, pari ad un magistrato ogni sette votanti. Ma che non sia isolato è evidente. Ieri il pm della trattativa Stato-Mafia, Nino Di Matteo, ha aggiunto che «i corrotti sono garantiti da una sostanziale impunità dalla politica». Cosette leggere, buttate lì.
Nel frattempo il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, al Senato, rivolgendosi anche ai banchi del centrodestra, aveva detto: «Arriviamo da 25 anni di barbarie giustizialista». La destra gli ha poi votato la sfiducia, il centrosinistra si è spellato le mani ad applaudire il «coraggio» di denunciare la barbarie giustizialista. Locuzione già sentita, ma da altro schieramento.

Insomma, cosa vogliamo dire. Cerchiamo solo di sostenere che da Tangentopoli in poi non si è più trovato un equilibrio tra magistrati e politici. Per vent’anni si è detto che ciò derivasse dall’«anomalia berlusconiana». Oggi si capisce perfettamente che il conflitto, durissimo, esiste indipendentemente da chi governa. È connaturato nel ruolo: o meglio nell’indirizzo di Palazzo Chigi. A differenza di quando il Cav governava, Renzi può contare però sull’appoggio di contropoteri importanti, a partire dal Quirinale, che entrano pesantemente in partita e dalla parte di campo del presidente del Consiglio. Vedremo come andrà a finire. Ma questa volta non si potrà più gridare al golpe berlusconiano.

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