Il premier non perde la faccia ma resta il rischio di contagio
Il premier è salvo, ma il virus si può diffondere.
Come era facilmente prevedibile l’aumento di capitale della Popolare di Vicenza si è rivelato un flop. Nessuno si è messo in fila per comprare a prezzi di saldo (10 centesimi) la carta ormai straccia di una banca un tempo considerata reginetta del Veneto.
La più importante agenzia di stampa italiana, l’Ansa, il 27 aprile, a mercati chiusi, scrisse: «Il nuovo termine dell’offerta per la sottoscrizione dell’aumento che punta a portare in Borsa la Popolare di Vicenza è stato posticipato di 24 ore… la proroga, viene spiegato da fonti vicine all’operazione, è stata approvata per andare incontro ai soci della banca dopo aver riscontrato in queste ore un’accelerazione della domanda». Ma de che?, direbbero a Roma. Altre che accelerare, i soci sono scappati. La domanda non c’è stata, nonostante fosse possibile comprare anche mini pacchetti di Popolare di Vicenza a 10 euro come dal tabaccaio, con tutto il rispetto per le sigarette che quando si fumano almeno danno, a differenza delle azioni, qualche piacere.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capirci qualcosa. L’istituto storicamente guidato da Gianni Zonin, solo recentemente estromesso, ha combinato dei pasticci sul lato dei prestiti. Su 26 miliardi di erogazioni, circa 7,5 sono dubbi. Una parte, 3,5 miliardi, sono schifezze assodate, del genere prestiti a paperino. I restanti quattro sono per il momento crediti incagliati: ma nessuno si fida e scommetterebbe un euro sulla loro restituzione allo sportello. Si può dire che la banca vicentina ha il trenta per cento di prestiti dubbi: un record negativo per il sistema italiano, che non parte certo da una posizione virtuosa in materia di prestiti farlocchi. Questi numeri oggi noti, ieri lo erano un po’ meno. Unicredit, prima del casino delle quattro «Etrurie», si era impegnata a portare a termine un aumento di capitale da 1,75 miliardi di euro e a garantire che fino a 1,5 miliardi li avrebbe tirati fuori di tasca propria. Col tempo si è capito che era impossibile. Dalle parti di Unicredit fanno anche trapelare che il contratto di aumento di capitale, come tutti i contratti, contiene una clausola risolutiva in caso di gravi e nuove evidenze emerse nel tempo. Insomma, forse, si sarebbe potuta sfilare dall’operazione. Si tratta quindi di un megapasticcio.
La Pop Vicenza e i suoi 120mila soci non sono l’Etruria e un aumento di capitale deserto avrebbe comportato l’immediato fallimento della banca. A maggio, a poche settimane dalle amministrative, il governo Renzi si sarebbe trovato con 120mila azionisti inferociti per l’azzeramento del loro capitale (e questi ci sono già) e un numero imprecisato di correntisti a cui avrebbero tagliato i depositi sopra i centomila euro. Con scene da panico, alla greca. Ecco perché è nato il Fondo Atlante, che ieri ha dovuto sottoscrivere tutto l’aumento di capitale, posto che solo quattro gatti si sono presentati a sottoscriverlo. Il Fondo è fatto dalle banche (Unicredit e Intesa in testa), dalle Fondazioni, assicurazioni e Cdp. Si tratta di un salvagente praticamente tutto privato, ma che ha tolto le castagne dal fuoco al governo Renzi, certo non responsabile del fallimento di Vicenza, ma che ne sarebbe comunque stato vittima mediatica. Immaginate il casino per le «Etrurie» e moltiplicate per dieci: i candidati di Renzi non avrebbero vinto manco a casa sua. Il Fondo è utile anche al sistema creditizio. Il panico da corsa agli sportelli contagia tutti, distrugge la reputazione del sistema, gonfia i materassi, fiacca l’economia già di per sé debole. E infine è un vero salvataggio per gli attuali correntisti della Vicenza. Come detto, con le nuove regole europee, se la banca fosse saltata avrebbero dovuto pagare anche loro la quota di depositi eccedente i 100mila euro. Migliaia di soggetti che devono fare un piccolo monumento ad Atlante.
Tutto bene, dunque? Manco per niente. Il principio di tutta questa operazione è stato quello di spostare il problema. I debiti della Vicenza restano e se li pappa Atlante con i suoi azionisti bancari. E la sanzione principe in un mercato per chi non riesce a stare in piedi resta il fallimento, ma vale per tutti tranne che per le banche. Il che ha un senso, anche generale, come abbiamo visto. Ma resta diseducativo. Chi ci garantisce che nel futuro non ci saranno nuove Vicenze? Il mercato e il rifiuto dei piccoli risparmiatori a comprare azioni della banca hanno decretato una sconfitta; l’arbitro ha invece deciso che la partita doveva finire pari e patta.
Per concludere. Atlante per il momento ha salvato Vicenza, Unicredit che aveva osato un po’ troppo, il governo, la reputazione del sistema bancario e i correntisti. Ma se non riesce a rimettere velocemente a posto le cose a Vicenza, il virus, ora congelato, si potrebbe diffondere.