La propaganda di Confindustria spiazza la logica
Il problema non è tanto il referendum, ma la caduta del premier.
Il centro studi della Confindustria è una cosa seria. Non bisogna tirarlo per la giacchetta quando sforna indagini che potrebbero andare contro chi governa, così come non si può credere che subisca il fascino politico di chi invece oggi siede a Palazzo Chigi.
Per questo motivo siamo andati a leggere, direttamente dalla fonte, l’ultimo rapporto, che tanta eco ha avuto sulla stampa, che riguarda «lo scenario post referendum e le conseguenze economiche dei No». Chi scrive questa zuppa non è contrario alla riforma costituzionale scritta da Renzi. Ma se gli argomenti per votarla sono quelli stiracchiati dal centro studi, facciamo poca strada.
Insomma da un lato i partigiani che votano contro la riforma solo perché l’ha fatta Renzi, dall’altro i supporter che prevedono l’arrivo delle cavallette se non dovesse passare. Caro presidente Boccia (penso che abbia tenuto per sé la delega al centro studi) davvero condivide quello che ora brevemente riassumiamo? Ha più volte detto che la riforma costituzionale è necessaria, ma davvero pensa che si debba sostituire la propaganda alla logica? Il punto di partenza è il «No» al referendum. Il centro studi a pagina 11 dei suoi scenari economici (edizione 26 giugno) scrive: «Per rispondere (a cosa avverrebbe nel campo economico, nda) occorre delineare uno scenario costruito sulla base di ipotesi altamente probabili». I tecnici di viale dell’Astronomia si improvvisano fini politologi.
Vediamole queste ipotesi politiche «altamente probabili». Se dovesse passare il «No» loro sono certi che Renzi di dimetterebbe, il presidente Mattarella scioglierebbe il Parlamento e le nuove elezioni non darebbero una maggioranza chiara. Wow. E chi siete? Il Mago Zurlì. Renzi si dimette? Boh. Mattarella non forma un governo di unità nazionale? Boh. Alle elezioni non vince davvero nessuno? Ancora boh. Già che c’erano potevano metterci dentro anche un possibile attentato, o la vittoria di Trump. Ma prendiamo pure per buono lo scenario pessimistico, ma considerato altamente probabile, descritto sopra: d’altronde si tratta di un esercizio, non della realtà. Le conseguenze economiche sono ancora più aleatorie. Ma per gli studiosi sono «altamente probabili» e sono cinque. I tassi di interesse sui Btp salgono di tre punti percentuali. Perché proprio tre? Semplice Watson: perché così è avvenuto nella crisi del 2010-2011. Ma nel frattempo è arrivato Mario Draghi con la famosa dichiarazione di fare tutto ciò che è necessario (whatever it takes) per salvare l’euro, fatta il 26 luglio del 2012. Questa variabile (che all’epoca cambiò l’andamento dei mercati) non fa gioco ricordarla. O meglio, visto che parliamo di scenari ipotetici, qualcuno può davvero ritenere che Draghi stia buono e zitto? O le variabili che possano attutire gli eventi negativi non si devono tenere in conto? Il secondo evento negativo riguarda la difficoltà di fare aste dei nostri titoli di Stato e terzo la relativa fuga di capitali dall’Italia. Due circostanze sulle quali si presume, sempre che davvero si realizzino, un Draghi imbavagliato. Quarto evento, perfettamente logico visti i primi tre, è il calo della fiducia degli italiani. La dimensione anche in questo caso sarebbe identica a quella del 2011. Infine quinto evento: si svaluta l’euro. In questo caso manca anche la connessione logica-economica. La caduta dell’euro si verificherebbe solo se i capitali se ne scappassero dall’Eurozona. I tecnici ci dovrebbero spiegare come sia possibile che per il No al referendum di Renzi, i grandi fondi disinvestano l’euro: per cosa poi? Forse per andare sulla sterlina, che per i prossimi due anni sarà un bel po’ incasinata? Eddai: la fuga dei capitali dall’Europa è un po’ too much. Tanto più che nel famoso 2011, a cui sono tanto legati gli studiosi di viale dell’Astronomia, c’è stato un viaggio verso la qualità soprattutto tedesca, e dunque denominata in euro.
Ma le cavallette, previste da questa analisi, non bastano. Arrivano anche i Gremlins. Assisteremmo ad un calo degli investimenti pubblici del 5%. Anche in questo caso si tratta di una previsione tutta basata sull’aria. Può certamente avvenire, ma non è assolutamente detto che sia probabile. Tirando tutte le somme, il «No» al referendum di Renzi, è quanto abbiamo letto ovunque, ci costerebbe la bellezza di 4 punti di Pil, pari a 589 euro a testa e 430mila nuovi poveri. Ecco come si costruisce lo scenario pessimistico del «No» a Renzi. Con una piccola aggiunta. Il problema non è tanto il referendum, ma la caduta del premier. Lo scenario catastrofico, con la sua catena di conseguenze altamente probabili, si verificherebbe anche grazie a un colpo parlamentare, alla mancanza di qualche senatore di Verdini o di Alfano.