Altro che meno imposte: il saldo a novembre segna +3,9% contro un Prodotto interno lordo inferiore all’1%

Questa settimana il ministero dell’Economia ha pubblicato i dati ufficiali sull’andamento delle entrate tributarie erariali per i primi undici mesi dell’anno.
Ebbene le nostre tasse hanno prodotto, e manca un mese alla fine dei conti, la bellezza di 404 miliardi di entrate centrali. Ma il dato più interessante riguarda il confronto rispetto al 2015: la bellezza di 15 miliardi di entrate in più. In termini percentuali una crescita del 3,9 per cento. La cosa è elementare: se lo Stato si è beccato un tesoretto aggiuntivo, qualcuno lo ha pagato e sono i cittadini. Altro che diminuzione delle tasse. I numeri assoluti parlano chiaro. Ma anche quelli relativi: se le entrate crescono quasi del 4 per cento e il Pil neanche dell’1 per cento, ciò vuol dire che il fisco ha fatto quattro volte meglio dei contribuenti. Andando a guardare tutte le componenti fiscali, ci si accorge che tutto è andato bene. Per le Finanze, si intende. Bene l’Irpef sulle persone fisiche, l’Ires sulle società e l’Iva sui consumi. A crollare solo le imposte sostitutive e sui capital gains, anche per il pessimo andamento della Borsa. E pensare che il governo Renzi aveva aumentato le aliquote.

Insomma guardando i numeri assoluti troviamo un fisco centrale molto più in salute dei suoi sudditi. Cioè noi contribuenti.

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Il Wall Street Journal ci ha fatto sapere questa settimana che George Soros ha perso un miliardo di dollari. Pardon. Non Soros, ma i sottoscrittori dei suoi fondi speculativi. Il finanziere si dice gestisca, i suoi dati non sono così trasparenti, circa trenta miliardi. Le perdite si sono realizzate nel giro di poche settimane. I titoli del giornale finanziario americano dicono che Soros aveva scommesso contro Trump. Uno dei suoi ex soci, con cui aveva lanciato l’assalto alla lira e alla sterlina nel 1992, ha fatto invece, con i suoi fondi, una scommessa contraria e cioè che il mercato americano con Trump sarebbe cresciuto. Ha vinto l’allievo.

C’è però da fare una considerazione. I quotidiani italiani, soprattutto quelli cosiddetti progressisti, negli ultimi anni hanno utilizzato le opinioni di Soros come se fosse San Francesco, ma con un conto online da Fineco. Era il guru, ci parlava di libertà, di futuro del mondo, di catastrofi geopolitiche cagionate dalla vittoria dei populismi. Con scarso senso del ridicolo, era come chiedere a Vallanzasca un parere su come rendere più sicure le carceri. Resta l’ipocrisia di fondo. Un finanziere e uno speculatore diventa improvvisamente merce buona per gli opinionisti progressisti e dem che non fanno altro che sparare contro finanza e speculazione, per il solo fatto che il medesimo speculatore, specula (sperando di fare soldi) contro la vittoria dei populisti. E sbaglia pure. I cosiddetti populisti vincono e i mercati non crollano. Insomma non ne azzecca una: sia nelle sue analisi politiche, sia, ed è peggio, negli investimenti finanziari che fa per conto dei propri sottoscrittori. Fino alla prossima intervista di Soros in cui ci dirà come gira il mondo.

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Un tempo la giustizia ad orologeria era solo quella che denunciava Silvio Berlusconi, riguardo alle inchieste in Italia. E in molti lo sfottevano. Da ieri c’è una grande nuova vittima della sindrome: Sergio Marchionne. Non sappiamo come andrà a finire la vicenda sui motori delle Jeep e sul loro presunto taroccamento. La storia la conoscete. La Fiat, sì chiamiamola ancora così, ha però fatto intendere, si capisce bene dai resoconti giornalistici più amici, che ci sarebbe una strana coincidenza tra la fine del mandato del verde Obama e l’inizio di quello petrolifero di Trump. I vertici dell’agenzia per i controlli sull’inquinamento verranno presto sostituiti, e quello contro la Fiat sarebbe uno degli ultimi colpi di coda di un’amministrazione morente. Insomma giustizia ambientale ad orologeria. Tanto più che la pratica verrà poi discussa dai nuovi e più ragionevoli vertici già designati da Donald. A proposito di coincidenze e orologi, proprio il giorno prima dell’inchiesta dell’Agenzia antinquinamento, Sergio Marchionne aveva annunciato un miliardo di nuovi investimenti in America e il protezionista Trump gli aveva mandato un messaggio di felicitazioni. Quante coincidenze.

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