Che cosa sta succedendo in Corea? Che cosa sta spingendo il governo di Pyongyang a comportarsi in maniera tanto assertiva, quanto, all’apparenza, sconsiderata?

La tensione oggi è alta per due ragioni:

Per quanto potesse sembrare improbabile, il nuovo leader nordcoreano Kim Jong Un appare più pericoloso e determinato di quanto non fosse suo padre, Kim Jong Il. Il giovane presidente è alle prese con il difficile compito di consolidare il suo potere interno. Spinto dall’elite militare più anziana, Kim deve dare prova di forza e di coraggio per guadagnarsi la legittimità del comando. La capacità di sfidare le potenze esterne e di gestire i critici rapporti internazionali proverebbe le sue qualità. Solo così potrà definitivamente conquistare la fiducia e lealtà dell’esercito.

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La seconda ragione è la sorprendente immobilità dell’amministrazione americana nel rispondere alle minacce sempre più frequenti da parte di Pyongyang. Le amministrazioni americane precedenti a quella di Obama si sono espresse con forza e coerenza nella definizione dei difficili rapporti con la Corea del Nord al fine di limitarne il pericolo militare, in particolare la proliferazione nucleare, e di gestire i delicati rapporti con la Cina.

L’amministrazione Obama sembra comportarsi differentemente. Non risponde alle provocazioni, non alza la tensione a livello multilaterale e si limita a tenere costante la pressione al tavolo dei negoziati. La strategia nordcoreana, immutata negli anni, è stata quella di provocare al fine di tenere alta la tensione per ottenere concessioni economiche in cambio della rinuncia ai propri progetti militari e strategici. In questa maniera ha saputo per decenni mantenere il fragile equilibrio di negoziazione a proprio vantaggio fino a quando Obama ha chiarito all’inizio del suo primo mandato presidenziale che gli Stati Uniti non avrebbero più accettato le condizioni di Pyongyang in assenza di precise garanzie sul processo di denuclearizzazione.

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Questo nuovo atteggiamento da parte di Washington rende incerti i nordcoreani che si trovano costretti ad aumentare la minaccia nella speranza che gli Stati Uniti tornino ad adottare una strategia più conciliatoria e in linea col passato. Finora Obama ha saputo evitare questa rischiosa tentazione, rimanendo coerente con le sue posizioni.

La questione dunque non riguarda soltanto l’avvento del nuovo presidente nordcoreano, ma è determinata anche dal consistente cambio di dottrina politica e strategica da parte di Washington.

Cosa è lecito aspettarsi?

Le manovre di riassetto dell’esercito americano nella regione dimostrano che Washington non è disattenta verso ciò che sta succedendo. Tuttavia un attacco preventivo da parte degli Stati Uniti non è al momento ipotizzabile.

Allo stesso tempo, è improbabile che Pyongyang decida di attaccare direttamente gli Stati Uniti. Per quanto sconsiderati e pericolosi possano sembrare, i nordcoreani sono tutt’altro che pazzi e conoscono bene la forza del proprio avversario. La priorità del governo è la preservazione del proprio potere e l’elite sa benissimo che un attacco diretto verso gli Stati Uniti non gli lascerebbe scampo.

A questo punto decisivo sarà capire come salvare la faccia.

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