La solitudine mortale della grande città.
Martedì 6 agosto 2013 – Trasfigurazione di Nostro Signore – Scilla
Non è l’anno in cui mi abbronzerò. Non sto “scendendo a mare”, come si dice da queste parti. Tornato nella mia Calabria quasi in pianta stabile dopo trent’anni, mi è sufficiente respirarne l’aria, per stare bene. Un’aria pulita. Che sa di aranci e ulivi. Di origano ed erbe selvatiche di bosco. Incredibile il piacere di farsi devastare dei rovi, per raccogliere le more nere ingrossate dal sole. Oppure, guardarsi le dita delle mani arrossate dalla prima sottile pelle delle fragoline d’Aspromonte. E mi piace avvolgere fra le felci il formaggio appena acquistato dal pastore. Al mare, ci vado alle sei del mattino, per lunghe passeggiate con l’acqua a mezza gamba per svegliare la circolazione. Aspetto le barche dei pescatori e porto a casa il pesce appena pescato. Mi fa pena. Per qualche minuto. Poi, confesso, penso a quanto è buono anche da mangiare e mi autoassolvo. Non sarò mai vegetariano. Pur avendo ridotto all’osso il consumo di carni. Di ogni specie animale. Dai pesci ai mammiferi. Passando per celenterati, molluschi e crostacei. In campagna, riposo gli occhi fra il verde intenso degli agrumeti, sovrastati dai miei ulivi dalle foglie d’argento, coi tronchi alti quanto palazzi a due piani e più. E tanto grossi, che tre uomini a braccia aperte non riescono ad abbracciarli. Ma ciò che mi premia l’anima è l’imbrunire nei quartieri più “tradizionali”. I quartieri in cui la “stanza in più” della casa è la strada. Spazzata, lavata e tenuta pulita con cura dalle “donne alla vecchia maniera” che, dopo la calura del giorno, la considerano come un prolungamento della calda casa di famiglia. Tutti seduti sulle sedie basse, con i piedi appoggiati allo scalino dell’uscio. A chiacchierare. Di tutto. E di tutti. Magari, a dir male. Litigando, a turno con tutti. E rappacificandosi al primo lutto. Ma quanta compagnia si fanno. Altro che badanti! Quelle sono cose da ricchi soli. Abbandonati al proprio denaro anelato da figli disattenti, nuore dal french color latte, o generi spocchiosi incastonati in volgarissime fuoriserie. No, non è tra i vicoli con i portali in pietra e le porte sgangherate che sanno di anteguerra – e quale anteguerra? – che si sta da soli. Qui, la solitudine della fermata del 34 o del 491 o dei giardini a fianco all’edicola dei giornali, non c’è. Non c’è la bustina di plastica dal deprimente contenuto solitario, stretta alle mani nodose per paura che un qualche affamato la scippi. Non c’è la porta blindata del quarto piano senza ascensore, perennemente sigillata “tanto non viene nessuno”.
Non c’è la dolorosa tristezza di morire oggi ed essere ritrovati dopo mesi, “mummificati” dalla mortificazione del decesso per dimenticanza. Degli altri. Qui non c’è nessuno che resta da solo a soffocare di programmi tv in replica estiva. Nessuno che ravana nelle cassette di frutta del mercato alle tre di pomeriggio, anticipando le municipalizzate dei rifiuti.
Esiste, e si tocca con mano, una familiare solidarietà di quartiere. Fatta di “scrupolo”, cioè di attenzione verso l’altro, chiunque sia, per non sentirsi egoisti. Fatta di abitudine ad occuparsi dei giovani di una volta. E’ commovente vedere arrivare le bici o gli scooter coi nipoti più giovani che vengono a dare un bacio al nonno o alla nonna, portando loro un “Questo te lo manda mamma: dice che il contenitore passa a prenderselo lei domani”… Quindi, passa. Ogni giorno, ad ogni ora, qualcuno passa. Qui, la famiglia esiste. E, comunque, c’è sempre la comare. O il vicino di casa… No, in città non è così. Lì, in città, lo so, l’ho visto per trent’anni, non c’è nessuno. Eppure, se li senti parlare, gli anziani di città, spesso si lasciano sfuggire un qualche colpevole giudizio sulla gente di campagna, sui “provinciali”. Su coloro che “non sanno cosa si perdono, a non abitare qui”. Un solitudine sorda, di sughero sociale, muta come una porta blindata, cieca come un quarto piano senza ascensore. Ecco cosa si perdono. Mentre si guadagnano la fortuna di spirare fra le braccia conosciute di qualcuno “di famiglia”. Quando sarà… Ma, intanto, tanta buona vita.
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In compagnia.
… Fra me…