Venti di guerra in Calabria. L’arroganza del potere non vince.
Mercoledì 5 febbraio 2014 – Sant’Agata – piana di Gioia Tauro
Non sono nato per farmi camminare sulla faccia da nessuno. Non mi piego davanti a nessuno che non sia mia Madre o Dio. Non accetto “i consigli” e le “velate” raccomandazioni di non giocare troppo col governatore fighetto, che, da giorni, mi arrivano da ogni parte. Telefonate, soprattutto. Ma anche strette di mano interminabili, con gli occhi puntati negli occhi e la parola sibilante come canto di serpe, che ripete il solito mantra “Lascia stare. Chi te lo fa fare”.
Ringrazio per la preoccupazione, rifiuto il consiglio e vado avanti. Come a parafrasare il gioco del “pacco” che accompagna la cena degli italiani. Sono sicuro che tutti questi buoni amici lo facciano solo per evitare polemiche, che, già da ora, disturbano il clima di campagna preelettorale, ma il problema non è quello. Ritengo che la tragedia di questa terra sia, piuttosto, una sorta di predisposizione al silenzio. Tombale. “Se non se ne parla, se nessuno mèntova, allora qualsiasi azione passerà inosservata. Anche la più turpe. Tanto, ognuno ha almeno uno scheletro nell’armadio”. Certo! Ognuno ha un proprio scheletro nell’armadio: l’importante è tenere l’anta del mobile spalancata, cosicché tutti possano vederlo, lo scheletro.
Mio Padre mi ha insegnato tante cose. La prima su tutte, il significato ed il valore della Libertà. Qualcuno dei Suoi insegnamenti, purtroppo, l’ho lasciato per strada, ma il Corpo Centrale è sempre qui, con me. E lo ripasso giorno dopo giorno. E, sull’errore commesso, ci ritorno su e cerco di riparare. Perché, così, morendo, potrò andarmene a fronte alta. Fiero di essere caduto e di essermi rialzato. Come ogni uomo che si voglia chiamare tale.
Tornato nella mia Terra di Calabria dopo 30 anni di lontananza, ho ritrovato i Cari Amici, che non hanno avuto bisogno di riannusarmi per riconoscermi. Lavoriamo fianco a fianco per la ricostruzione, la rinascita, la speranza del cambiamento.
Mal sopportiamo l’arroganza di un potere che, chiuso nei sicuri, comodi e complici Palazzi, se ne fotte delle esigenze della Gente. Che pur combatte, giorno dopo giorno, contro l’abuso e l’indifferenza.
Crollano i templi del passato, come a Monasterace il Tempio di Kaulon? Chi ci è andato a verificare? Nessun cappotto caldo delle istituzioni. Nessuna foto di reporter lecchino, nessuna telecamera, nessuna visita ufficiale con strascico di portaborse dal sorrido ebete. Se la son vista i cittadini incazzati. E noi con loro.
Il Porto di Gioia Tauro viene trattato come puttana di bordello, tanto da essere destinato al passaggio continuo di carichi esorbitanti di stupefacenti e veleni? Chi controlla? Chi decide? Se non fosse per la solerzia degli Uomini in divisa, sarebbe porto franco per ogni turpe commercio.
E fosse solo il tempio o il porto…
I Calabresi continuano ad essere mortificati dalla malapolitica e dal trombonismo acuto e virale. Tutti promettono, nessuno mantiene. E, se lo fa, è a danno di qualcun altro. E così non va bene,
Il fatto di essermi schierato dalla parte della gente della strada non viene perdonato. Avrei dovuto godere dei profumi lontani delle cucine del Palazzo, per essere amato dal potere calabrese. Ma io sono uomo di fornelli: preferisco preparare pasta e broccoli coi poveri, piuttosto che farmi servire fagiani laccati dagli arroganti. Non mi vendo per il pezzo del prete. Resto in magazzino con un piatto di cicoria di campo. La mia famiglia viene dalla terra. E, dunque, per me, tornare alla terra è un onore. E che onore!
I miei nonni stanno applaudendo al mio passaggio. Loro, che sono nel vero mondo dei Giusti.
No, non la piego la testa! E persisto nella resistenza. A difesa di tutti gli onesti che vengono offesi e derisi. Chiunque siano. E da chiunque vengano oltraggiati.
… fra me e me…