Milano forestiera. Anzi, straniera.
Venerdì 5 dicembre 2014 – San Giulio – Redazione SUD, Area industriale Gioia Tauro
Due giorni a Milano, due soli giorni molto intensi. Il tempo di siglare un accordo “familiare”.
SUD, la tivù che mi onoro di aver fondato e di dirigere, la tivù figlia di quella TVEsse che, per prima, negli anni Settanta/Ottanta nacque in queste contrade, si è gemellata a Il Giornale OFF, che ho visto nascere e che sento come nipote quanto SUD è figlia.
Un brindisi italiano in uno dei locali più garbati e fini della città meneghina, una stretta di mano e tanti amici a sostegno di un grande progetto che prenderà forma nelle prossime settimane, nei prossimi mesi.
Ma di italiano, appunto, nella città della Madonnina, fatta eccezione per il nostro brindisi (volutamente con vino italiano), resta, faticosamente, poco. L’animo dei suoi abitanti, la loro tenacia, il sogno di poter mangiare panettone ancora per qualche decennio. Per il resto, c’è il kebabbaro. La kasbah intorno alla Stazione centrale. Le migliaia di non milanesi che sciamano ovunque. Perfino in Galleria, dove sventolano, arroganti ma con falsa timidezza, sciarpe similvuittòn come fossero muletas. Ne venderanno? Non lo so. Ma danno fastidio. Come quell’odore forte e dolciastro di cipolla stufata in salsa di soia o spezie orientali, che si espande per mezza Milano, mentre l’altra metà patisce i belati dei montoni scannati.
Mi aspettavo i piccioni, davanti al Duomo: c’erano dei tamil con dei cosi di plastica che, sparati nel cielo, scendendo si illuminano. #robacinese
Nelle vetrine dei ristoranti, soprattutto pesce crudo che muore su palline di riso: sushi giapponese in tutte le salse. Per gustare e godermi un risotto con l’ossobuco ho dovuto chiedere ai miei amici, che hanno individuato, a fatica, un ristò chicchissimo, dove mi son potuto tuffare su un piatto della tradizione.
La passeggiata pomeridiana per le vie del Centro me le ha fatte sentire tutte, le lingue periferiche del mondo. Dal filippino all’hindi, dall’arabo al wolof, al bambarà… Al romanì, la più bisbigliata in metro e sui bus.
Altro che el nost Milan! Qui, oltre ai lombardi, mancano anche gli Italiani!
La Città è un formicare di non italiani, qui più che altrove, che, devo dire, preoccupa.
Sarò razzista, ma a me sembrano un po’ troppi, sotto le guglie del candido Duomo. Poi, magari, mi sbaglio pure. Però, rispetto agli anni in cui ero ragazzino, e venivo a Milano per perdermi con gli occhi davanti alle gigantesche cotolette delle trattorie familiari, i forestieri hanno lasciato il posto agli stranieri. Tanto da aver snaturato anche l’aria che si respira. Nuovi profumi, nuovi aromi, nuove puzze. Anche il naso, oltre al cuore, ne patisce. Perché a Milano, la Violetta di Parma ha ceduto il passo all’essenza di sandalo e patchouli. Spesso anche al muschio di cervo.
Insomma, dov’è Milano? Dove, se posso, quello spavaldo “Non si affittano case ai meridionali”, che tanti ne ha offesi negli anni dell’immigrazione interna? Cos’è successo ai milanesi, che sopportano, anzi accolgono ben altri meridionali? Forse non se ne accorgono di questa corposa invasione multietnica? O, magari, l’hanno già digerita?
L’Umanità, si sa, è capace di grande pazienza.
Milano, crocevia del mondo del domani, dunque.
Per il momento, continuo a scrivere in italiano.
Fra me e me. Sognando il panettone, mentre mangio, a malincuore, chebakia.