Venerdì 12 dicembre 2014 – Santa Giovanna – Redazione SUD, Area industriale Porto di Gioia Tauro

Ebbene, sì! Torna la Grande Festa del Cristianesimo e torna il pericolo rosso.

Milioni di articoli brutti, scadenti, pericolosi, immorali, mortiferi. Fabbricati da povere mani di schiavi. O di prigionieri innocenti. Di bambini. O donne trattate come fossero di carta. Milioni di porcate inutili, colorate con veleni, impastate con veleni, fuse con veleni. Senza alcuna regola morale o legale.

Pentole e attrezzi di acciaio proveniente da navi, auto, aerei dismessi, binari di treni in disuso, siderurgia senza controlli. Guanti da forno, strofinacci, presine colorate, pantofole e cappellini, abiti e accessori fatti con stoffe che prendono fuoco come cerini. Scarpe che provocano infezioni, funghi e piaghe. Pellicce di cani, gatti, conigli e topastri passati al tegame. Giocattoli per i nostri bambini, pericolosi come mine antiuomo, fabbricati con quanto di più mortale possa esserci per i nostri cuccioli.

E questi sono solo degli ingenui esempi di quello che, invece, milioni di menti malate dagli occhi a mandorla partoriscono ogni giorno. Dai braccialetti di gomma colorata, ai portachiavi con le tartarughe e i pesciolini vivi bloccati in una sorta di taschino trasparente. Fino ad arrivare agli alimenti misteriosi, fatti di mille schifezze senza alcuna indicazione di provenienza o durata.

Eppure, c’è ancora una consistente fetta di popolo italiano che ci entra, in quei bazar puzzolenti di plastica tossica e carta che sa di piscio di gatto. C’è ancora chi, incurante dei mille divieti e consigli, si avventura fra gli stand approssimativi e acquista di tutto. E così facendo intossica nonna e nonno, nipote e figlio, moglie e amante.

“Auguri… Auguri… Bella, la candela a forma di culo di balena… Quanto speravo di ricevere un accendigas con le palline che suonano ad ogni brodo di pollo… Uhmmm, questo collo di pelliccia di pastore tedesco scuoiato vivo lo sognavo da una crisi intera!!!”

E via con le stronzate, pur di non mettere a disagio il coglione che si è fatto spennare dal cinese sotto casa. Quello che, col suo negozio evasore, ha fatto abbassare le serrande di almeno tre negozi italiani e ha mandato a casa dieci famiglie, fra proprietari e lavoranti.

E sì! Perché quando un negozio italiano chiude, a ramengo ci vanno gli italiani. I cinesi mica li assumono i nostri connazionali. Vogliono solo servi che arrivino dal loro Paese. Che pagano a babbo morto, dopo una vita di schiavitù.

Stringono alleanze con le mafie. Pagano mazzette come fossero buste per gli sposi. Comprano la nostra ingordigia coi loro contanti profumati. E ridono di noi. “Da Mistel Chen pagale poco denalo velamente. Complale tutto, italiano. Buona Cina. Solo cose belle, Cina.  Tu plendi, costale poco poco da Mistel Chen”. Mi ci ha portato Gianfranco, per farmi vedere come funzionano questi maledetti negozi. La cinese, sciatta e puzzolente di aglio rosso, mi alitava la sua alloganza sul naso e io avevo una voglia di prenderla a calci sul culo. Solo quello, volevo fare.

“In questo tuo negozio non mi piace nulla. Grazie e addio!” E vaffanculo!

Ne avevo abbastanza dopo solo tre minuti. Sono uscito volando e avevo solo voglia di vomitare: ma solamente perché avevo masticato rabbia e schifo.

Per calmarmi, sono andato al bar per un espresso e dal tabaccaio, dopo dieci anni di lontananza dal fumo. Ho aspirato la sigaretta come fosse l’anima di un amante. Poi, ho regalato il pacchetto a un barbone per via.

Per Natale, andrò a Seminara. Acquisterò le ceramiche artigianali: animaletti per i pronipoti, vassoi, piatti, maschere apotropaiche, bicchieri, anfore, per gli adulti. Sono belle e servono. E non sono cinesi. Per fabbricarle, ci lavorano maestri artigiani italiani coi loro discepoli. I soldi spesi per comprarle restano in Italia e vengono reinvestiti.

Poi, farò un salto a Taurianova e a Bagnara, per i torroni artigianali, i fichi e i datteri ripieni, le pitte di San Martino.

Al lanificio del mio amico Emilio Leo, lassù a Soveria, acquisterò le ultime novità: le collane e i bracciali di lana e cachemire, per esempio.

Del resto, non compro che italiano. Ci sto attento da tempo. E giuro che si può. Eccome, se si può. Basta fare tutto con calma e usare il fiuto e la testa. Cercare i prodotti giusti, quelli che sanno d’Italia, di lavoro onesto, di voglia di farcela.

Mi piace la provola silvana, i confetti di Sulmona, il cuoio fiorentino, Deruta, Vietri, le sete di Como, i cammei e i coralli napoletani, la filigrana di Sardegna, il merletto di Offida. Mi piace sentirmi Italiano. Spendere in Italia per acquistare Italiano. Premiare gli imprenditori che non scappano. Garantire lavoro ai miei connazionali. Arginare l’invasione straniera. E non rischiare la salute per un euro in meno.

Fra me e me. Per un Natale di buonsenso.

 

 

 

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