Je suis Spirlì
Domenica 18 gennaio 2015 – Santa Liberata – Taurianova
Passati i giorni dei funerali. Di giornalisti, poliziotti e civili. Poveri figli di mamma, innocenti e martiri. Finite le lacrime. Di rabbia. Restano il rancore e il sospetto.
E non se ne andranno tanto facilmente. Perché affondano le radici nella delusione. Nella riaccesa voglia di Patria e dogane.
Mio Padre e mia Madre mi hanno allevato con pane e Cristianesimo. Quando Papà morì, tante persone, al suo funerale, ci raccontarono di essere state aiutate, in silenzio e con discrezione, nei loro bisogni. Scoprimmo quanto più buono fosse, rispetto a quello che già immaginavamo. Mia Madre è una sorta di bancomat di dolcezza. Io avrei, dunque, dovuto continuare, come le mie sorelle, a camminare su quel sentiero di paradiso. Oggi dubito di farcela.
Gli spari di Parigi e le morti innocenti, gli attentati in Occidente, i morti di Nigeria e Curdistan, gli sgozzamenti e le crocifissioni di veri martiri cristiani, i rapimenti delle bambine e delle donne e la loro schiavizzazione, le minacce e gli editti di un manipolo di folli e la complicità di un popolo che aiutiamo e ospitiamo e, comunque, ci odia, i soldi spesi per pagare inutili riscatti, minano ogni mia fedeltà al pensiero del Cristo Redento.
Je suis Spirlì e ognuno è com’è. Con la propria storia, la propria vita, gli affetti, i sogni, il lavoro, la fede e l’impegno sociale e politico. Figli tutti di giornate strappate ai dolori, agli schiaffi, alle difficoltà, alle malattie, alle delusioni. Je suis Spirlì, dopo lo stupro, la sofferenza, le invidie professionali, i patimenti del cuore. Dopo la rabbia contro chi pensava di avermi piegato la schiena e la dignità, togliendomi la certezza. La sua certezza. Perché la mia era già fusa in titanio. Piuma e potenza.
Già! Chi ha il diritto di decidere per e su di me? Su noi e in casa nostra? Se Capi di Stato e ministri si calano le braghe, lo facciano decidendo delle proprie tristi esistenze, e non per il popolo che li ha temporaneamente scelti. Si credono potenti e non lo sono. Ricordino che, nonostante sia coperta da maglie di cachemire o camicie di lino, dentro le carni, dal giorno della nascita, indossano una veste che non possono mandare in tintoria. Si chiama Morte e li livella al più povero e al più scellerato.
La morte è veste di papi e capibastone, di santi e di figli di puttana. La portano bambini e orchi, giovani sposi e vecchi filibustieri. Eterosessuali e omosessuali. E non ha padroni. Nessuno decide per e su lei.
Nessuno. Neanche chi, mascherato di codardia, uccide in nome di un dio che non può garantire la veridicità del mandato. E, del resto, se un dio pretendesse anche solo una morte, non sarebbe un dio.
Uccidere è l’atto più debole che si possa compiere. Chi uccide è gonfio di incertezze e paura. E perde sempre.
Penso a tutti i massacratori del Passato. E alle loro fini. Indecorose. E anche di chi ha creduto di andarsene con ori e potenze, oggi non resta nulla. Di molti, neanche il nome e il racconto della vita.
Je suis Spirlì, sì. E ognuno è com’è. Oggi, sono un uomo che preferisce dire “Sono razzista, ma…” anziché “Non sono razzista, ma…”. Lo devo ai morti, agli schiavi, agli indifesi. Lo devo alla mia Famiglia, alla Sacra Bandiera, alla Patria, agli Eroi, al Popolo Italiano. All’Occidente e al progresso. Alla Democrazia, all’Arte e alla Letteratura. Alla Scienza e alla Filosofia. Questo, noi, lo chiamiamo D*o. A questo nostro Signore offriamo la giornata, quella che sia. Altro dio non lo conosciamo. E, soprattutto, non lo riconosciamo.
Ecco. Ad ogni sparo, ad ogni sgozzamento, la mia disponibilità perde colore. Svanirà, un giorno, temo. Come svanisce in tutti coloro che non piegano la testa all’arroganza del terrore e dei terroristi. E dei potenti intrisi di morte.
Fra me e me. Rispettoso del dono ricevuto, in attesa di riconsegnarlo…