Domenica 17 maggio 2015 – Senza santi in paradiso – a casa, a Taurianova

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In silenzio, mi lascio avvolgere dalla penombra del mio studio di pietra. Il camino ormai spento, i cani e il gatto che si strusciano alla ricerca di attenzioni e carezze che non mancano mai. La voce di mia Madre che arriva dal piano di sopra, argentina come il suo carattere. Squillante, a spregio dell’età che avanza e alla quale non si piega. Un segno di luce entra dalle finestrelle alte di questo rifugio incastonato nella roccia.

Seduto sulla vecchia poltrona, resa comoda dall’uso e dall’antica fattura, rifletto ad occhi chiusi su un’immagine che mi ha scombussolato l’anima e che non riesco e non voglio cancellare. Vorrei poter dare un nome ad un’ombra e so che non ci riuscirò. Vorrei poter dare corpo ad un sentimento, ma non sarà così facile. Maturo un rammarico che voglio risolvere, e, dunque, ne scrivo.

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Sì, avrei dovuto fermarlo, quell’anziano signore che brucava con le mani nodose fra i resti del mercato. Erano le prime ore di un pomeriggio di qualche settimana fa, in quella città disattenta. Invece, ho tirato dritto, seduto comodamente nel taxi. Me ne sono solo stampato la tristezza nelle viscere. Ma, codardamente, ho tirato dritto. Avrei potuto… Quante cose avrei potuto fare e non ho fatto. La prima, fermare il taxi, avvicinarlo e parlargli. Poi, avrei potuto offrirgli un caffè. E, magari, condividere un pranzo. Regalargli della frutta, delle verdure; forse, della pasta, lo zucchero, il latte. Avrei potuto e avrei dovuto.

Non l’ho fatto – stupido che sono! – e sono andato per i fatti miei.

Sul treno del rientro a casa ho forzato il ricordo e ho fatto girare quel corpo d’uomo sconosciuto verso di me: incredibilmente, nei suoi occhi immaginati ho rivisto lo sguardo di mio Padre, dei miei Nonni, di ogni anziano che mi ha riempito ed attraversato la vita. Ho perso qualche lacrima, di rabbia. A Lui, come a Tutti Loro, devo molto. Devo questa mia Terra, la libertà, la curiosità, il dubbio, la lettura e la scrittura, le arti e il mio lavoro. A Lui e a Loro devo questa maledetta sensibilità che, in questi anni maturi, mi fa piangere spesso. Devo la Fede e la difesa dei deboli. A quelle mani nodose e a quella schiena curva devo il mio impegno sociale e il coraggio di andare fino in fondo all’abisso.

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E, come me, probabilmente glielo dobbiamo tutti noi. Disattenti e leggeri, spesso, ma pronti all’azione quando un rigurgito di dignità umana e italiana ce lo impone per indole.

E, dunque, riflettiamo insieme…

Cosa stiamo facendo ai nostri vecchi? Che supplizi di solitudine e abbandono stiamo infliggendo a chi si è spaccato la schiena per noi? Che strazi di inutile isolamento devono respirare prima di chiudere gli occhi per sempre?

Così non va. Così, no! Non è umano! Non è civile!  Non è possibile! E’ il caso che ci rimbocchiamo le maniche e recuperiamo l’umanità che stiamo svendendo alle tv e ai computer. L’umanità che stiamo perdendo in nome di un egoismo sfrenato e di un’ansia di arrogante avidità di affermazione personale nella società di oggi e nella storia di domani.

Nessun futuro, per noi. Nemici della vecchiaia, tanto da cercare invano di cancellarla dai nostri corpi. Invano: le rughe non sono quelle che si spianano sul viso a colpi di botulino. I veri solchi li lascia l’aratro della grettezza. E quelli restano. Eccome! E più allontaniamo da noi la bellezza del tempo che passa, più profondi si fanno i passaggi dell’aratro del diavolo.

Unica cura? La condivisione e il superamento della paura dei giorni che vanno…

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Citofoniamo all’anziano del palazzo! Bussiamo alla sua porta! Accompagniamolo dal medico e facciamo la spesa per lui. Portiamogliela, la fetta di torta del nostro compleanno. Sediamoci con lui alla panchina dei giardini. Chiediamogli di lui. Della sua vita. Andiamolo a trovare in ospedale, se malauguratamente ci capita. E salutiamolo nel suo ultimo viaggio. Ognuno di loro è parte di noi. Ogni minuto dedicato ad un anziano è un solco in meno per noi…

Lo dico a me stesso, in questa giornata dedicata ad un vecchio curvo sulle cassette dei resti di un mercato spietato.

Fra me e me. Con la voce argentina della Mamma al piano di sopra…

 

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