Lunedì, 30 ottobre 2017 – San Germano –  a Casa Spirlì, in Calabria

1salvini

E chi l’ha detto che il Sud non abbia una propria Lega, altrettanto territoriale quanto e come quella dei veneti, dei lombardi, piemontesi, liguri, emiliani…?

È dal giorno successivo alla proclamazione dell’avvenuta (sanguinaria) unità d’Italia per mano del massone cavour e del suo tirapiedi a pagamento, stragista dei due mondi, sovvenzionata dagli inglesi e dai discendenti di quei lacchè dei re di Francia, di cui l’ultimo è un ottimo ballerino e un pessimo imprenditore, che le regioni del Meridione d’Italia sognano l’indipendenza da Roma e dal suo Nord. Non è cosa buona, chiaramente, ma è un fatto. Matteo Salvini se lo sentirà dire ad ogni fermata del lunghissimo viaggio di oggi, da pendolare, sulle tradotte siciliane del ventunesimo secolo. Quelle che, per noi del Sud, sono pane quotidiano; mentre, per le genti del Nord, sono ricordi antichi di tempi che furono, non sono e non saranno più.

Pochi, al Nord, sanno che l’occhialuto conte piemontese ordinò, riuscendoci, di svuotare le casse del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, le banche più ricche d’Europa, e di portare tutto l’oro nelle casse magre e anonime dei savoiardi, nuovi re (o tiranni?) degli italiani riuniti con la forza. Pochissimi sanno che centinaia di migliaia di combattenti del Sud furono DEPORTATI nei lager piemontesi (vedi la fortezza di Fenestrelle), dove furono martirizzati senza pietà. Quasi nessuno sa che tutte le FLORIDE industrie del Sud (uniche industrie, al tempo, esistenti in tutta la penisola) vennero chiuse e distrutte.

Tanti decerebrati pensano che a Sud vivesse e viva ancora una sorta di scimmia antropomorfa, imbecille e dedita al sopruso e al malaffare; mentre, a nord di Roma, degli ariani geniali, gentili, e di razza pura e superiore.

Male male male!!!

Eravamo e siamo, noi Italiani, una treccia di popoli splendidi e di grande genio. Tutti. A nord come a sud, a est e a ovest. Sul continente e sulle isole, dalla più grande alla più minuscola. Una variopinta pennellata di Identità dall’indiscutibile valore artistico, culturale, religioso, sociale, spalmata su tutto il territorio nazionale, e che vive del proprio contrasto e del reciproco scambio di colori, luci e ombre.

Siamo belli, noi Italiani, perché NON ci somigliamo, e, nel contempo, siamo uguali. Più uguali che se fossimo tutti impastati con la stessa carne e lo stesso sangue.

Ognuno sogna l’indipendenza, ma nessuno, in fondo, la vuole veramente. Ma, confessiamolo, quanto ci piacerebbe se a rappresentarci in un futuro parlamento fossero proprio dei “membri” territoriali? Dei “veri onorevoli”, uomini probi, che, incarnando le urgenze e le necessità della propria gente, potessero confrontarsi con gli omologhi delle altre regioni per costruire, finalmente, in pace e insieme, la prima vera Italia degli Italiani. Ci accorgeremmo che il Porto di Gioia Tauro deve essere salvato quanto quello di Genova; che gli agrumi di Sicilia e Calabria hanno la stessa dignità del riso di Vercelli e delle mele del Trentino, delle uve della Toscana, degli ortaggi dell’Agro Pontino, del pescato della Sardegna… Ci accorgeremmo che il grana e il parmigiano hanno la stessa regalità dei prosciutti di san Daniele, delle provole silane, delle scamorze pugliesi, della fontina valdostana, del Brie, del pecorino romano, sardo, crotonese, toscano…

Ci renderemmo conto che i contadini veneti sbagliano simpaticamente i congiuntivi come quelli di Caltanissetta e Reggio Calabria, pur coltivando con pari perizia le proprie terre, siano esse in collina, a valle o su per le alte montagne. E che i bravi medici e avvocati, ingegneri e architetti sono sia campani che lombardi, sardi, molisani, friulani, abruzzesi… Lo sono a Padova come a Cosenza, a Barletta, a Perdasdefogu…

Ci convinceremmo che sarebbe il caso di finirla con la guerra fra italiani. E che, anzi, sarebbe ora di unirci, diversi e uguali, in un unico progetto umano, sociale e politico. Oggi come mai.

Ci guarderemmo allo specchio e apriremmo, una volta per tutte, le porte agli Italiani, senza cartelli vergognosi esposti a imperitura vergogna di chi li scrive. Perché, con l’aria che tira, o l’Italia va agli Italiani, oppure sarà una sorta di tappeto rosso per pirati senza nome e senza terra che vogliono solo desertificare duemila anni di Cristo e Civiltà.

Insomma, l’Italia è sempre stata una sorta di mosaico di Stati indipendenti, con confini permeabili. Ci sarebbe solo da codificarne l’unione, la collaborazione, la compartecipazione. La vita, insomma.

Sarà questo che frulla in testa a Matteo, mentre, come un siciliano qualsiasi, si “regala” la traversata di duecento miseri chilometri in nove ore e passa, da Trapani ad Agrigento, su treni sgangherati e bus sostitutivi? Lo seguivo, stamane, in una diretta Fb mentre raccontava le sue impressioni a caldo: mi ha impressionato come avesse messo da parte la milanesità, per indossare, con rispetto e compassione, la disponibilità verso la terra che lo sta accogliendo in queste ore.

Non le orde barbariche di lecchini e portacellulari da incontro volante nei saloni del Palazzo o nelle sale d’arrivo dell’aeroporto più comodo. Nemmeno i soliti facinorosi presenzialisti da selfie scemo. L’uomo delle ruspe si presenta da solo come un comune viaggiatore, dedicando alle aspettative della gente del Sud, un tempo all’antica maniera. Senza corse, senza ansie, senza pretese.

Da capo branco, più che da leader. Lupo coi lupi. Disarmato di scorte e di giannizzeri. A dimostrare che, mentre con la paura         – com’è toccato al toscanello cantastorie – si raccolgono i vaffanculo più lunghi della storia delle ferrovie italiane, agendo con lealtà si porta a casa almeno una corposa stretta di mano.

Fra me e me

 

Tag: , , , , ,