Venerdì, 23 novembre 2018, San Clemente I romano – da Casa Spirlì, in Calabria

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Quell’oro loro è un’offesa, un’ingiuria, una minaccia, un reato e un peccato mortale. Quell’oro loro non brilla, ma è ombra nell’ombra. Quell’oro loro non è prezioso, ma è fango. Quell’oro loro non è ricordo caro, ma è lacrime e maledizioni. Quell’oro loro non avrebbe dovuto essere lì. Né in nessun altro posto che non fosse un Altare. Già! Fosse stato un omaggio offerto a Dio o a Nostra Signora, sarebbe stato di nuovo benedetto. Ma in quelle tane, per giunta illegali, sa d’inferno. Di diavoli e di negazione.

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Quell’oro loro mi riporta alla mia infanzia, quando rimasi turbato, anzi terrorizzato, dal ghigno sguaiato di un vecchio che raccoglieva ferrivecchi: non aveva un dente bianco. Erano tutti ricoperti da una lamina d’oro loro. E quella risata beffarda e cattiva segnò molto la mia innocenza. Ai miei occhi di bambino, quel vecchio era il demonio! E,  se non lo era, poco mancava. Ricordo occhi neri come la lava, malvagi… E una sensazione, mia, di smarrimento, e, sua, di laida perversione…

Anche sua moglie, una vecchia grassa dai capelli unti e la gonna lunga e lurida, aveva i denti d’oro: per quella gente, il metallo giallo è un simbolo di stato sociale. L’oro loro pende dalle orecchie, dai colli fin dentro le zinne mosce delle donne sfruttate e sfrontate, o sui pettorali pelosi dei maschi dominanti, e nullafacenti. L’oro, loro lo cercano ovunque. Anche dove non dovrebbero.

D’oro loro, abbiamo visto, ricoprono tutto. Anche i cessi. (leggi qui)

Anche le coscienze.

Quell’oro loro andrebbe sciolto nelle fornaci e distribuito alla povera gente…

#ninospirlì

 

 

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