Quell’Onda che non travolge le Gelmini
[photopress:UNIVERSI.JPG,thumb,alignleft] Ancora in piazza, ancora contro il governo e il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. Studenti e sindacati (non tutti per la verità, visto che la Cisl e Snals Confsal si sono sfilati dalla protesta). Il copione di “protesta continua” si ripete, compreso quello del “siamo in….”. Anche se quanti sono non conta molto, in realtà. Bisognerebbe contare quanti studenti e quanti insegnanti sono rimasti in aula… ma questo non si può, non è politicamente corretto, soprattutto visto da sinistra. Non marciano in piazza? Non contano niente, peggio per loro.
Infatti il segretario della Cgil Gugliemo Epifani grida tranquillamente dal palco “chi non è qui sbaglia”. Ma è davvero così? Non è che a sbagliare, qualche volta (non sempre per carità) si proprio Epifani? Bisognerebbe chiederlo a chi non era in piazza a Roma, a chi non condivide la protesta, la sua politicizzazione, la politica del “no” ad ogni piè sospinto. Ma tant’è, ai rituali ci si abitua. L’Onda deve fare il suo corso, magari trasformandosi come si augurano molti manifestanti, in uno tsunami politico. Poco importa se si protesta contro la riforma universitaria che non in realtà ancora non c’è. Poco importa se si è posto mano alle regole dei concorsi. L’importante è dire no. E in piazza.
Poi si scopre che magari la Gelmini qualcosa di giusto lo sta facendo e che non sarà travolta dall’Onda. “Onore al merito di chi cerca di rivalutare il merito” ha scritto sul Corriere il professor Giovanni Sartori. Che promuove il maestro unico, il ritorno al voto e al voto in condotta e se la prende con i tantissimi “baroncini” in cattedra troppo speso non all’altezza di ciò che dovrebbero insegnare.
E che dire dell’Economist? Torna ancora sull’argomento (ma come, si schiera dalla parte del governo berlusconi?) e scrive sull’ultimo numero che la riforma della Gelmini, “merita di trovare udienza”. Il settimanale dà giudizi abbastanza pesanti sullo stato dell’università italiana, prigioniera di “baroni” che hanno “potere di vita e morte accademica” e contribuiscono a alimentare i fenomeni “diffusi” del “nepotismo e del favoritismo”. “Lo schema più comune è quello di uniforme mediocrità”, scrive l’Economist, il quale fa notare che “nessuna istituzione italiana è nelle 100 migliori università del 2008”. Negli ultimi anni i baroni, si continua, hanno esercitato “un’influenza notevole sui governi, in particolare quelli di centro-sinistra, e sono riusciti a seppellire molti tentativi di riforma”.
Ma ora, con “cinque università in bancarotta” il “bisogno di cambiamento è pressante”, il progetto della Gelmini punta alla modifica del processo di selezione dei docenti universitari e dei ricercatori, a “evitare abusi” e alla “creazione di finanziamenti per sussidi agli studenti e per gli alloggi”. “Dovrebbe essere una buona notizia per gli studenti e gli insegnanti, ma gli studenti hanno dato vita a proteste in tutto il Paese”.
Ma no, anche il professor Sartori e l’Economist sbagliano, naturalmente. Come va fatta la riforma dell’università dovrebbero chiederlo a Epifani e ai sindacalisti in prima fila in piazza e negli istituti. Loro, di scuola, sì che se ne intendono. E i risultati in questi anni si sono visti. Senza ironia, per carità. A proposito: perché sul decreto 180 del governo che tratta di diritto allo studio, premio al merito, lotta ai baronati neanche una parola?
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