Bersani e i “niet” della Camusso
[photopress:camusso_bersani.jpg,thumb,alignleft] Non bastava l’allungamemto dell’età pensionabile che in qualche modo il Pd è riuscito a far digerire ai malpancisti – molto meno accettato lo stop delle indicizzazione delle pensioni che mina la capacità di spesa di milioni italiani perché si somma all’inflazione che cresce e all’aumento generalizzato di tasse e tariffe con pesanti ripercussioni sui consumi (scelta poco apprezzata anche dagli elettori del Pdl) – ora è scoppiata l’altra vecchia “bolla politica”: la riforma dell’articolo 18 e dello Statuto dei lavoratori. Problema sul tappeto da anni. Verò tabù che ha sempre creato una montagna di guai e spaccature nel centrosinistra (ricordate le levate di scudi di Cofferati contro D’Alema?).
Riforma che il ministro del Welfare Elsa Fornero e il premier Mario Monti sono decisi a mettere sul piatto delle cose indispensabili per ridisegnare e modernizzare il mercato del lavoro come chiede la Ue. Susanna Camusso, leader della Cgil ha subito alzato il ponte levatoio, il cislino Bonanni è salito sulle barricate e il resto dei sindacati pure ed è partita la controffensiva contro il ministro “autoritario” e contro la “maestrina”. Toni aspri, slogan e accuse che la Fornero ha definito “preoccupanti” perché “rimandano a un brutto passato”…
E lo scontro ha subito coinvolto il Pd, perché la mossa della Fornero ha riaperto ferite mai rimarginate nel maggior partito della sinistra che in questo momento appoggia il governo Monti. Il segretario Bersani è stato subito costretto alla difensiva, cercando di prendere tempo alzando le classiche cortine funogene per non farsi mettere sotto dai riformisti piddini (da Veltroni a Enrico Letta, da Franceschini a Ichino): fronte interno che conta una nutritissima pattuglia di deputati e senatori che da tempo sono su posizioni critiche verso la maggioranza bersaniana e che ha duramente attaccato le posizioni del responsabile economico del Pd, Stefano Fassina. La riforma del lavoro è il nodo gordiano della tenuta del Pd – come ho più volte scritto – tema che non si risolve con un semplice compromesso e che, se per scioglierlo fosse necessario tagliare, rischia di spaccare la “balena rosso-bianca” aprendo scenari e prospettive inedite per il panorama politico e per il mondo del centro sinistra. Avversari interni e avversari esterni, per Pierluigi Bersani, perché anche l’Idv di Di Pietro e il Sel di Vendola sono corsi in soccorso (o si sono accodati) alla Camusso e alla Cgil. Così a Bersani non è rimasto altro, per adesso, che invocare un rinvio perché così il governo “complica tutto”. “Facciamoci il Natale e lasciamo stare l’articolo 18”, dice il segretario del Pd.
Come se fosse facile. Con Monti che percorre una strada stretta che finora ha partorito una manovra lacrime e sangue fatta per l’85% di tasse e il problema della ripresa e dello sviluppo, gamba indispensabile per non agire solo in modo recessivo è ancora tutto da definire. Per ora solo supertasse che colpiscono comuque i soliti noti, per niente bilanciate dai tagli ai costi della politica e agli sprechi del settore pubblico e amministrativo. Già, perché Monti per andare avanti deve dare un colpo a destra e uno a sinistra, ma se sbaglia una mossa rischia di far crollare tutto il castello che vuol costruire per rispondere efficacemente alla crisi. Castello che non può fondarsi solo su nuove tasse e balzelli, ma ha bisogno di riforme strutturali (come quella delle pensioni) che ne rendano solide le fondamenta e le mura: dal lavoro a fisco (con annessa, reale, lotta all’evasione). E se Lega apertamente all’opposizione con tanto guerra all’Imu (la nuova tassa sulla casa), Idv e Sel giocano in funzione elettoralistica, il Pd è costretto a definire in modo chiaro la ragione stessa del suo proclamarsi forza di governo responsabile, sgombrando il campo dai dualismi interni e dalle contraddizioni mai risolte fra vecchi ideologismi e nuovo riformismo. Altrimenti all’orizzonte ci saranno solo macerie e il Pd rischia di diventare la prima vera vittima politica eccellente del governo “tecnico” che appoggia. E’ giusto riformare l’articolo 18 dando più garanzie economiche? Dì la tua.
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