Art.18, il tabù che imbarazza Bersani
[photopress:MONTI__LAVORO.jpg,thumb,alignleft]Il governo Monti è partito – riassumendo – con la riforma delle pensioni che, oltre all’aumento dell’età pensionabile comprende la poco equa abbinata blocco delle rivalutazioni – tassa occulta ma reale dell’aumento del costo della vita. Poi c’è stata l’imposizione della lenzuola di tasse (recessiva per generale ammissione), che non è stata accompagnata da un’altrettanto robusta lenzuola di riduzioni di spesa (fra la generale delusione dei contribuenti-cittadini). Infine è arrivata la terza lenzuolata: le cosidette liberalizzazioni (che non si capisce come possano far salire addirittura del 10% il Pil, premier Monti dixit) con un decreto “spacca Italia” con conseguente raffica di scioperi e forconi vari: tassisti, camionisti, benzinai, ferrovieri, farmacisti, avvocati.
Un groviglio di proteste che vanno in scena proprio all’apertura dell’ultimo fronte: la riforma del lavoro e del welfare, con l’articolo 18 che – sempre Monti dixit – “non è tabù“. Già, ma per chi? Perché si apre ufficilmente uno scenario foriero di più di una tempesta politica. Quel “non è un tabù” infatti è arrivato in contemporanea alle assemblee del Pd e di Sel che hanno visto il solito duello a distanza fra Bersani e Vendola. Con Nichi che si è subito messo di traverso: “È sempre lo stesso ritornello. Il governo tecnico ha una grande passione per la comunicazione politica ma non si immagini di usare alcune norme di civiltà come specchietto per le allodole per poi deregolamentare l’architettura civile del lavoro. Lo dirò con franchezza: l’abrogazione delle dimissioni in bianco non può essere un modo per parlare più affabilmente di cancellazione dell’articolo 18, furbizie così ne abbiamo già viste. Non è un tabù, il tema è l’estensione dell’articolo 18 a tutti i lavoratori“. Parole chiare, le sue, che invita Bersani a scaricare Monti…
Bersani invece è stato più sfumato anche se ha sul collo non solo il fiato di Vendola, ma anche e soprattutto quello della Camusso e della Cgil: ha chiesto infatti al governo di intervenire sulla crescita e di tenere lo sguardo su chi è più in difficoltà, chi si ritrova senza un lavoro. “Aggiungiamoci il calore della solidarietà” perché “le liberalizzazioni, il mercato del lavoro sono importanti ma ci vuole anche quest’altra gamba”… Toni più sfumati, il segretario del Pd vuol vedere come andrà la trattativa aperta con i sindacati anche se, come scrive Luca Ricolfi sulla Stampa, sul tema lavoro e articolo 18 è “pronto a isolare i riformisti” piddini.
Insomma, sulla materia del lavoro e di licenziamenti per motivi economici si apre una sorta di “madre di tutte le battaglie” che in prospettiva mette in gioco alleanze future e risultati elettorali. E se sulle liberalizzazioni il Pd può manovrare con (troppa) disinvoltura, sul tema del lavoro e sulla “flessibilità in entrata e in uscita”, è costretto a percorrere una via più stretta e difficile, incalzato com’è dal sindacato rosso e da Vendola. Tanto che l’ex ministro del Lavoro, il piddino Damiano rivolge un caldo invito a Monti: “Concordo a tal punto con il presidente del Consiglio sul fatto che la riforma del lavoro non si riduca al solo art. 18, che suggerisco che tale articolo non sia proprio oggetto della discussione al tavolo della trattativa. Se si seguirà questa strada non ci saranno rischi”.
La domanda è: se Mario Monti fosse conseguente al Monti-pensiero sulla concertazione (“Non bisogna spingere la concertazione con le parti sociali fino a rendere vincolanti le loro posizioni” Corriere della Sera, 1994. Leggi l’articolo di Francesco Cramer: “Quante note ai sindacati nel registro del Professore”), che cosa farà Bersani? E come reagirà di fronte al “niet” della Camusso, di Cisl e Uil ribadito al ministro Fornero? Appoggerà i “tecnici” montiani o salirà sulla barricata con Vendola? Accoglierà l’appello di Nichi e Di Pietro per un nuovo Patto di Vasto? E il Pd lo seguirà unito? Difenderà le rigidità che ingessano il lavoro e che hanno partorito l’esercito dei precari, o avrà il coraggio di fare quello strappo che i riformisti del Pd invocano?
Intanto il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha illustrato alle parti sociali i pilastri della riforma che il governo vuol mettere in campo: tipologie contrattuali, formazione-apprendistato, flessibilità, ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro. E’ “una riforma ambiziosa”, ha detto, che va fatta con “largo consenso”. I tempi? Tre-quattro settimane… Tempi stretti per vedere se “qui si parrà la virtute” di Bersani e del Pd di essere più europei o se chiudersi in una riedizione della Stalingrado rossa di vecchia memoria, massimalista e perdente.
LA CGIL FA PAURA, IL PREMIER FRENA SUL LAVORO di Laura Cesaretti