Province da ridere, ma non troppo
In tempi di spending review e qundi di tagli e rispermi che coinvolgono le istituzioni territoriali che amministrano l’Italia, voglio dedicare un commosso pensiero alle moriture (ma non troppo) province che il governo si appresta a tagliare, o meglio accorpare, per decreto portandole nelle regioni a statuto ordinario da 86 a (più o meno, salvo deroghe a 44) e per voce del ministro Il ministro Patroni Griffi si augura che “conservatorismi e particolarismi non ostacolino questo processo”, invitando ognuno a guardare “all’orizzonte più ampio che è il ridisegno del Paese, chiesto peraltro a gran voce anzitutto dai cittadini”.
Giuste le parole del ministro tecnico che invita ad accantonare localismi, campanilismi, rivalità storiche. Ma tra il dire e il fare il pensiero va al mitico Antonio La Trippa, alis Totò e alla sua sgangherata campagna elettorale in bianco e nero con il claim “Votantonio…”. Perché nella vicenda delle province (previste dalla Costituzione e quindi non cassabili in toto salvo modifica della Carta) il bianco e il nero paiono i colori dominanti. Il bianco è il colore che indica la necessità di voltare pagina, di tagliare, accorpare e rispermiare soldi pubblici (dei cittadini) che si perdono in mille rivoli di spesa legittima e purtroppo a volte illegittima, parcheggi politici, prebende, consulenze, spese inutili e quant’altro già purtroppo visto. Il nero è il colore del risultato finale (ammetto che sono prevenuto e disincantato) perché per ora non esiste certezza su quanti saranno i risparmi reali e quanto davvero consistenti nel breve e nel lungo periodo e se il “riordino” alla fine sarà simile all’equità sbandierata dal governo delle tasse (queste sì certe e dall’effetto immediato) ovvero si tradurrà nel solito “cambiamo tutto” così cambierà poco o niente. Esito che a livello di partiti “radicati sul territorio” non è immune dall’essere a priori escluso.
Perché le polemiche non riguardano solo gli accorpamenti territoriali, ovvero i nuovi “confini”, ma anche i nomi delle nascenti “nuove” entità. Se ad esempio Livorno torna con Pisa, dopo essere diventata provincia per volontà di Ciano, la chiameranno Pisorno? (una strada con questo nome c’è già fra i due capoluoghi e costeggia la base militare di Camp Darby a Tirrenia? E in Emilia Romagna? Se Provincia di Reggio Emilia e Modena non piace ai modenesi, non piace neanche Piacenza e Parma che qualcuno vorrebbe chiamare Provincia Verdiana visti i luoghi comuni della lirica italiana conosciuta nel mondo. Piacenza poi ha chiesto – lo ha fatto il consiglio provinciale che ha avuto il via libera dalla Cassazione – il referendum per traslocare dall’Emilia e accasarsi con la Lombardia… E quindi? Va meglio a Ravenna, Forlì, Cesena e Rimini con Provincia di Romagna: qui i conti storico-culturali e geografici coincidono. Ma c’è un altro problema, dove mettiamo le le sedi di riferimento? Capoluogo a Ravenna, sede Ausl a Cesena, Questura a Rimini? Vedremo… E c’è la questione non proprio da far passare sottotraccia delle regioni a statuto speciale che hanno più province. Come si vede il groviglio è davvero arduo da districare. Altra questione è quella dei risparmi (che non sono fatti solo di tagli di poltrone). Che fine faranno i dipendenti? Quelli in eccedenza saranno ricollocati presso le regioni o altri enti? Con quali qualifiche, per non scatenare una raffica di contenziosi sindacali? E le società partecipate da sempre oggetto di attenzione politica in fatto di nomine? E la transizione dal “vecchio” al “nuovo” avverrà per via commissariale e sciogliemnti o si terrà conto che siamo di fronte ad assemblee elette dai cittadini?
Dice il presidente dell’Unione delle province, Giuseppe Castiglione: “E’ necessaria la massima collaborazione tra tutte le istituzioni ed è importante procedere evitando di sollevare inutili polveroni intorno al decreto legge che il governo dovrà predisporre, perché i nodi aperti sono molti ed estremamente delicati, ma il percorso deve essere portato a compimento. Per quanto riguarda gli accorpamenti, si sta iniziando il dibattito anche nelle Regioni a statuto speciale. Intorno alle nuove Province bisognerà ricostruire il sistema di amministrazione locale, con gli accorpamenti di tutti gli uffici dello Stato, per poi procedere con una riforma che, proprio tenendo conto di quanto emergerà dalla riorganizzazione delle Province, riguardi anche Regioni e Comuni”.
Primo passo, cammino lungo, “nuove Province” più grandi che inglobano le “vecchie”… Speriamo bene, speriamo che dopo tanto lavorìo non assomiglino ai lifting delle auto di una volta che con qualche cromatura in più diventavano “nuove” (e più care del modello precedente). Speriamo che il saldo finale dei risparmi “veri” sia reale in termini di spesa e di efficienza per i servizi al cittadino, che alla fine di tanto discutere, fare e disfare non ci sia da ridere amaro… Penso, come ho già scritto, che la via maestra sarebbe stata quella che rifugge da bizantinismi e mezze misure: l’abolizione delle province, per mezzo della modifica costituzionale. Sarebbe stato un segnale più forte. Sarebbe stato più utile puntare al bersaglio grosso, al bubbone ben più difficile da curare: le Regioni. Le vicende che hanno scosso l’Italia dal Nord, al centro al Sud lo hanno fatto emergere in tutta la sua gravità configurando una sorta di “caciccati” elettivi, una cornucopia alla quale attingere a piena mani posti e soldi per diritto di partito… In certi casi la politica dovrebbe capire che i partiti non si garantiscono la sopravvivenza solo guadagnando tempo. E questa non è antipolitica.