Lo schiaffo ai partiti, in Sicilia, è stato sonoro: il movimento di Beppe Grillo esce dalle urne come il più votato nell’isola con il 18% e il suo portavoce Cancelleri finisce terzo; il “partito del non voto” rimasto volutamente alla larga dalle urne, arriva al 53% (un siciliano su due è rimasto a casa), “partito che non c’è”, senza rappresentanza quello del “non voto” che i partiti dovranno pesare, eccome, sulla bilancia delle prossime elezioni politiche. Così, se si sommano i voti grillini con quelli dell’astensionismo, l’antipolitica sbanca con il 76%. Anche Grillo in realtà non ha pescato nel nel grande bacino elettorale  dell’astensionismo, segno che non convince e la sua proposta (ammesso che ci sia davvero, come contenuti concreti) non è “inclusiva”.  Bel brivido per le segreterie dei partiti e per “lorsignori” che non hanno molto tempo per decidere come uscirne in piedi. Il vento di tempesta era annunciato e ha soffiato forte, sull’isola e da qui verso la politica nazionale. E Grillo ora ha iniziato a marciare sui Palazzi romani, o almeno ci prova perché un conto è attaccare a destra e a manca seguendo pance e umori degli italiani, un conto è poi convincerli che solo lui e i suoi possono riempirle. Ma questo è un altro discorso.

In Sicilia ha vinto l’asse Pd-Udc e il Pdl è stato sconfitto. E sono stati bocciati Vendola, Di Pietro, Fini: fuori i loro uomini dall’assemblea regionale. Ma per i vincitori non sarà una passeggiata: hanno incassato il 30%, però la maggioranza non c’è e qualcuno prefigura una vittoria di Pirro sia perché il nuovo presidente della regione Rosario Crocetta dovrà allargare la sua alleanza nel nome della governabilità magari a Micchiché e Lombardo riproponendo i vecchi schemi dei pasticci dei gattopardi siciliani siciliani (i grillini staranno all’opposizione), sia perché questo risultato riapre i giochi delle alleanze dei democrat a livello nazionale. Tanto che l’ombra politica più pesante sulla vittoria di Pd e Udc la getta Nichi Vendola: “Crocetta è stato votato da poco più del 10% dei siciliani, la sua è una legittimazione democratica fragile…”. Nichi ha i suoi buoni motivi per questo giudizio tranchant rivolto a Bersani e Casini: Sel e Idv hanno corso da soli raccogliendo poco, tanto che non avranno eletti nell’assemblea regionale. E se Bersani esulta (“Risultato storico”) e Casini gli fa eco (“Risultato straordinario”) Nichi li mette in guardia pensando alle elezioni politiche perché in Sicilia il Pd vince con Casini ma senza Vendola, ma Casini dice di non essere interessato ad allearsi col ticket Bersani-Vendola (che invece il segretario piddino vuole fortemente). Garbuglio che offusca la vittoria e si riverbera su Roma.

La doppia bastonatura arrivata da Grillo che con il suo tour siciliano fra nuotate, scalate dell’Etna, piazze piene, ha raccolto una messe di voti di protesta e dall’altissima astensione con cui i siciliani hanno sfiduciato i partiti, fa emergere un altro fatto: il Pd non è riuscito a intercettare i voti dell’elettorato di centrodestra, mostrando l’incapacità di proporre un’offerta politica convincente al di fuori della propria parrocchia, anche se – e non è un risultato da poco – ha conquistato con un suo uomo Palazzo d’Orleans. Non solo, il Pd come partito ha raccolto poco il 13,5%, in calo di 5 punti rispetto alle regionali di 4 anni fa (se si sommano i voti della lista di Crocetta ci si ferma allo stesso risultato del 2008): non solo, in quattro anni il Pd ha dimezzato i suoi voti. Se questa è una vittoria, una “cosa da pazzi”… E’ andata meglio all’Udc, che ha tenuto con il 10% e questo fa dire a Casini che “è ineludibile il rapporto tra progressisti e moderati che mette al bando gli estremismi e i populismi, unico antidoto all’antipolitica”, Grillo può arrivare al 25% nazionale e per contrastarlo servono “alleanze vincenti”. Bersani esulta ma deve riflettere perché il suo avversario alle primarie Matteo Renzi da Milano dice: “Sono contento che in Sicilia il candidato espressione della coalizione in cui mi riconosco abbia avuto la maggioranza dei voti”. Candidato che non era infatti appoggiato da Vendola…

Sul fronte opposto, quello del centrodestra, dominus per anni della politica siciliana,  è andato male, molto male il Pdl che ha pagato il prezzo più alto anche perché è riuscito nell’impresa di presentarsi diviso al voto: Nello Musumeci da una parte (Pdl, Pid e lista del candidato governatore) e Gianfranco Micciché dall’altra (Grande Sud, Pds-ex Mpa di Lombardo e Fli). Assieme avrebbero superato, sia pure di poco, il 40% e avrebbero vinto (i finiani sono fuori dall’assemblea siciliana perché la lista non ha superato la soglia di sbarramento del 5%). Perde venti punti rispetto al 2008 e scende 12,5%, la divisione del Pdl e il passaggio dell’Udc (che nelle precedenti regionali era alleato con il Pdl) nel campo del centrosinistra sono stati un combinato disposto micidiale che è aggiunto alla crisi del partito dove le fazioni sono impegnate in uno scontro continuo contutti i rischi evidenti che ciò comporta.

“In Sicilia abbiamo perso perché l’operazione di dividere i moderati è perfettamente riuscita – ha detto il segretario del Pdl Angelino Alfano -, il 25% raggiunto da Musumeci è la dimostrazione che il centrodestra c’é e può essere vincente. Altra cosa che dobbiamo fare è parlare a quell’elettorato, che anche in Sicilia non è andato a votare. Confermo che il 16 dicembre si terranno le primarie del Pdl ed io ho deciso di candidarmi. Faremo sì che queste primarie siano la rinascita del centrodestra italiano”.  Alfano ha aggiunto che di alleanze se ne parlerà dopo: “Noi abbiamo un binario: unire l’area alternativa alla sinistra. Se ogni giorno almanacchiamo sulle sigle, perdiamo tempo. Altra cosa che dobbiamo fare è parlare a quell’elettorato che anche in Sicilia non è andato a votare”.

Già, perché la credibilità dei partiti è ai minimi e l’astensionismo punito in larga misura il Pdl. Sul fronte del centrodestra c’è molto da riflettere, da fare e da ricostruire mettendo in campo un’offerta politica credibile e chiara sul fronte delle riforme istituzionale, economica e fiscale, della stabilità e della governabilità. Da qui alle elezioni non c’è molto tempo, la partita sarà dura e come si è visto, la pazienza dell’elettorato non è infinita, soprattutto di quello moderato, deluso e in cerca di autore (ovvero rappresentanza). Come dimostra la doppia bastonatura, quella della Sicilia è davvero l’ultima chiamata.

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