Ricordate il “parolaio rosso”, al secolo Fausto Bertinotti? Pare che nei palazzi della politica si sia di nuovo materializzato sotto forma di Nichi Vendola (che di Fausto era stato vice ai tempi di Rifondazione). I toni e le uscite del leader di Sel ricordano quel periodo e l’ingloriosa fine del governo Prodi e dell’Unione creando qualche problema in più al buon Bersani che è alle prese da una parte con la lista Monti (“Non è una buona notizia per l’Italia”, ha detto il leader del Pd, salvo aggiungere che è pronto ad allearsi con il professore anche se il premier lo farà “chi prende più voti”), dall’altra con gli arancioni di Ingroia e De Magistris che rischiano di sottrarre voti preziosi alla macchina da guerra bersaniana. Il socio del ticket Bersani-Vendola, ovvero Nichi, sta infatti alzando il tiro non solo perché si scaglia alla Lenin contro i ricchi (“devono andare al diavolo”), ma perché se la prende proprio con Monti con cui subito dopo il voto Bersani “vuol parlare”: “E’ uno della razza padrona… portatore di una classismo feroce”. E aggiunge che l’ipotesi di un accordo Bersani-Monti-Casini-Fini sarebbe “spaventoso”.

Forse il ticket con Vendola non è un bene per Bersani, almeno se le cose vanno avanti così. Viene da chiedersi, ad esempio, cosa ci azzecca la candidatura dell’ex direttore generale di Confindustria Giampaolo Galli con Vendola che invece candida come indipendenti per Sel l’ex operaio della Fiat di Melfi Barozzino e il numero due della Fiom Airaudo (Monti chiede invece che Bersani tagli “le ali estreme” a partire da Cgil e Fiom…). Misteri delle alleanze e dei ragionamenti del “collettivo” che guida i Democratici e punta alla “inclusione”. E’ prevedibile che mentre i montiani del Pd e i cattolici del Forum di Todi il ponte del dialogo post elettorale con Monti e i centristi (ovvero il duo Casini e Fini, perché Montezemolo e Passera sono rimasti alla finestra), il parolaio rosso redivivo e i suoi di mettano al lavoro per segarne i piloni e per farlo crollare ammiccando tra l’altro a grillini ed arancioni.  Casini, tanto per dire, accusa Nichi di aver riesumato un linguaggio marxista-leninista… E Mario Monti torna alla carica: a sinistra c’è chi soffoca i meccanismi della crescita… Chissà a chi si riferisce, mentre Enrico Letta annuncia quel che già si era capito: “Se vinciamo chiederemo l’appoggio di Monti”. Grandi manovre in corsa, mentre Prodi paventa un risultato elettorale come quello del 2006: aria di pareggio e rischio di brutti scherzi dall’ala sinistra della coalizione, possibile remake dell’infelice storia dell’Unione.

A questo si aggiunge l’altro problema, decisamente più grosso, che si trova a fronteggiare Bersani: l’alleanza fra Pdl e Lega, l’accordo tra Berlusconi e Maroni che, come avevo scritto, si sarebbe fatto ed è stato fatto. Il ritorno in campo dell’asse del Nord, sia pure con partiti “ammaccati” e maldipancia che attraversano la base leghista, mette un forte ipoteca sul risultato elettorale e sulla vittoria “facile” sbandierata dal Pd perché può impedire la conquista della maggioranza al Senato con un successo in Lombardia e Veneto. Del resto era difficile pensare che Lega e Pdl picconassero il “muro” del Nord con effetti disastrosi anche sui governi locali in mano al centrodestra…

Il Cav e Bobo hanno riaperto i giochi e al di là delle polemiche elettorali, la sostanza è che hanno notevoli spazi di recupero, come dimostrano i sondaggi nel grande mare del non voto e degli indecisi mentre il trio Monti-Casini-Fini per ora arriverebbe al 15% con un’offerta politica che non sembra scaldare e convincere più di tanto gli elettori delusi che per ora stanno alla finestra ma che alla fine potrebbero essere decisivi.

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