#renzistaisereno (ma non troppo)
La guerra lampo di Matteo Renzi è andata avanti e dopo lo sfondamento del muro del Pd, la conquista della segreteria, la rottamazione di Enrico Letta con un metodo che definire sbrigativo è dir poco, è arrivato al Renzi I che assomiglia a un Letta Bis e non pare suscitare grandi entusiasmi nuovisti e rivoluzionari, con un profilo tutto da decifrare costruito con il mitico manuale Cencelli.
Ma tant’ è l’uomo che si è incoronato premier è fatto così, fra clamorosi detti e contraddetti. I più noti: “Una cosa che non voglio fare è andare a Palazzo Chigi”, “Lancio l’ hastag #enricostaisereno, nessuno ti vuol prendere il posto, stai sereno, vai avanti e fai le cose che devi fare ”, “Il governo fa il governo, io faccio un altro mestiere”…
Si è visto come è finita: esattamente come avvenne quando Massimo D’Alema rottamò Prodi diventando premier senza passare per il voto. La storia si ripete. Per la terza volta dopo Monti e Letta. Blitzkrieg e resistibile ascesa di un leader “mezzo Machiavelli e mezzo Bruto”, come l’hanno definito i media anglosassoni appassionati agli intrighi politici nostrani.
L’uomo corre veloce (e questo non è un male perché il mondo fa lo stesso) e ha un vantaggio formidabile rispetto alla vecchia nomenklatura imbolsita del partito: è il primo segretario del Pd de-ideologizzato, non è di matrice comunista o post-comunista, rifiuta di muoversi con schemi e prese di posizione chiusi in una gabbia ideologica che non ammette deviazioni, se non tattiche. Ragiona sulla base delle convenienze e coglie tutte le opportunità del momento per raggiungere i suoi obbiettivi, è un “neo-decisionista” con in mente più che il Pd, il PdR – Partito democratico di Renzi, come dice il suo oppositore interno Pippo Civati. Altro che “collettivo” bersaniano… E’ lui, il leader nuovo, la star al centro delle luci della ribalta, lo si capisce bene quando dice: “Mi gioco la faccia”.
E su di lui pesa il giudizio dell’Osservatore Romano: “Il governo del segretario Pd nasce con il peccato originale, con l’Italia si gioca il futuro” (a cui ha fatto seguito la telefonata di Papa Bergoglio a Enrico Letta, dopo quella di Obama). Che dimostra la sua debolezza di partenza (il metodo con cui ha licenziato Letta) a cui si somma un’altra debolezza, la sua leadership non è sostenuta da una vittoria elettorale, dal consenso che legittima appieno il potere e il suo esercizio. Non è un caso che Renzi sia stato costretto a trattare con i “cespugli”, i partiti minori, che sia Matteo sia Berlusconi vogliono “potare” perché impediscono da fatto la stabilità di governo: dall’Ncd di Alfano in giù. Con il Nuovo centro destra che per ora conta qualcosa solo per i numeri garantiti al Senato ed è privo consenso elettorale che cerca intestandosi politiche di centrodestra che il governo dovrebbe attuare e frenando sulla legge elettorale bipolarista che rende il “centrino” inutile se corre da solo.
Poi c’è l’altro peccato, mortale stavolta, visto da sinistra: tratta e dialoga con il Grande Nemico Silvio Berlusconi rompendo lo schema classico della lotta politica (e giudiziaria) contro l’avversario da abbattere. E lo fa addirittura sul terreno della grandi riforme, un’aggravante nell’aggravante, sempre visto da sinistra, tenuto conto che Berlusconi ha garantito l’appoggio di Forza Italia se i patti saranno rispettati (ma ha avvertito i suoi di stare pronti al voto perché i nemici del bipolarismo lavorano per far saltare il banco).
Renzi è realista, concreto, ha capito che senza un appoggio largo e condiviso con l’altro grande protagonista della politica, le riforme non si faranno mai e l’Italia resterà al palo, ma la sfida è tutta il salita come si è visto nelle trattative con i partiti minori, la scelta di ministri e poltrone. Forse pensava fosse più facile (sbagliando). Come forse sperava fosse diverso (sbagliando) il faccia a faccia con Beppe Grillo dove ha commesso l’errore di consegnargli telecamera e microfono in un streaming che ha ricordato quello triste di Bersani, poi e si è trasformato nel comizio dell’ex comico a cui ha messo una toppa solo alla fine: “Esci dal blog, Beppe…”.
E qui si va al nocciolo del problema, che ancora una volta è il Pd, perché l’ex Balena rossa è divisa e Renzi e i suoi devono guardarsi da “amici” e “compagni” (oltre che da una fetta consistente della base) che lavorano per ribaltare il tavolo. I segnali sono chiari. Pippo Civati dice: “Come si fa a non pensare che io non sia profondamente a disagio, che stiamo facendo un governo per quattro anni con tutta la destra (anche se facciamo finta che sia solo metà), senza votare, senza spiegare, condannando le larghe intese e facendole più lunghe e larghe uguali? Sto valutando insieme ai colleghi che non voterebbero la fiducia, ma vogliono restare nel Pd.
Più pesanti le parole del dalemiano Gianni Cuperlo che considera il doppio incarico di Renzi “un’anomalia” e spiega: “Sul futuro del Partito democratico dobbiamo aprire una riflessione molto seria non solo su chi lo guiderà nella prossima fase ma su cosa cosa intendiamo per partito di sinistra nel Paese. Abbiamo tenuto un congresso, concluso due mesi fa, con le primarie e io avevo fatto una campagna congressuale in cui dicevo che le primarie servivano a eleggere il segretario del partito e non l’inquilino di palazzo Chigi. Oggi ci troviamo con un segretario che si trasferisce a Palazzo Chigi“.
I tamburi di guerra suonano, insomma, gli avversari democrat si riorganizzano e si preparano a dare battaglia per riprendersi il partito: premier sì, segretario del Pd no (mi chiedo anche se alle prime difficoltà salterà anche l’alleanza con Dario Franceschini abituato ai cambi di campo in corsa…).
Non credo che Renzi rinuncerà alla segreteria, si è dato due mesi per “fare” e convincere gli italiani (“altrimenti è finita per il Pd, ripete) che è l’uomo del cambiamento, vuol arrivare alle elezioni europee per vincere (almeno lo spera…), promette una riforma al mese creando aspettative che vanno al di là del realistico, al Senato i voti sono in bilico e si prospetta uno scenario di maggioranze variabili con tutto quel che ne consegue e la corsa si prospetta a ostacoli.
Forse l’hastag giusto per Matteo è #renzistaisereno (ma non troppo).
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