Quanto conta il presidente USA per Wall Street? Un’analisi sul Dow Jones dal 1945 al 2025
Ogni quattro anni, gli Stati Uniti scelgono il loro nuovo presidente. È un evento politico, certo, ma anche uno dei momenti più osservati dai mercati finanziari di tutto il mondo. La domanda che molti si pongono è semplice: quanto conta davvero chi siede alla Casa Bianca per l’andamento della Borsa?
In questo articolo proveremo a rispondere con i numeri, analizzando l’andamento del Dow Jones Industrial Average, uno degli indici azionari più rappresentativi dell’economia americana, durante i mandati presidenziali dal 1945 a oggi.
L’obiettivo non è solo quello di capire se esiste una ciclicità legata ai cambi di presidenza, alle elezioni, o al contesto politico, ma anche quello di stabilire quale partito ha fatto meglio e quale ha fatto peggio in termini di performance del mercato.
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Le politiche economiche dei due partiti: cosa cambia tra Democratici e Repubblicani
Negli Stati Uniti, la scena politica è dominata da due partiti principali:
- il Partito Democratico, tradizionalmente associato al colore blu,
- il Partito Repubblicano, rappresentato dal colore rosso.
I democratici sono generalmente più favorevoli a un maggior intervento pubblico in economia, a politiche redistributive, ambientali e sociali. Spesso identificati come progressisti, sostengono l’aumento della spesa pubblica per istruzione, sanità e welfare (benessere).
I repubblicani, invece, hanno posizioni più orientate al libero mercato, alla riduzione delle tasse e al contenimento della spesa pubblica. Sono considerati conservatori, con una maggiore attenzione a temi come sicurezza, religione e tradizione.
Negli USA, il presidente rimane in carica per 4 anni. Può essere rieletto una sola volta, per un massimo di 8 anni consecutivi. Le elezioni si tengono a novembre, ma il nuovo presidente entra ufficialmente in carica il 20 gennaio dell’anno successivo, in occasione della cerimonia di insediamento (Inauguration Day).
Tuttavia, dal 1945 a oggi, ci sono state tre eccezioni importanti a questa scansione regolare, causate da eventi straordinari:
- Harry S. Truman, subentrò il 12 aprile 1945 a Franklin D. Roosevelt, morto mentre era in carica.
- Lyndon B. Johnson, divenne presidente il 22 novembre 1963, dopo l’assassinio di John F. Kennedy.
- Gerald Ford, assunse la presidenza il 9 agosto 1974, in seguito alle dimissioni di Richard Nixon durante lo scandalo Watergate.
In tutti gli altri casi, i presidenti hanno cominciato il proprio mandato regolarmente il 20 gennaio successivo all’elezione.
Queste date di inizio mandato saranno fondamentali per l’analisi che segue, in modo da valutare l’effettiva performance del mercato durante un’amministrazione.
Dow Jones: perché è l’indice migliore per analizzare l’impatto delle presidenze USA
Per valutare l’impatto delle presidenze statunitensi sui mercati finanziari abbiamo scelto, come accennato in precedenza, di utilizzare il Dow Jones Industrial Average ($INDU), spesso abbreviato in Dow Jones.
Il Dow Jones è uno degli indici azionari più storici e rappresentativi al mondo. Nato nel 1896, prende il nome da Charles Dow, uno dei padri del giornalismo finanziario moderno. L’indice è composto da 30 grandi aziende statunitensi leader nei rispettivi settori, e rappresenta una sorta di termometro dell’economia americana.
Anche se oggi l’S&P500 è spesso considerato un benchmark più completo (copre 500 aziende), e il Nasdaq è diventato popolare per via delle big tech, il Dow Jones ha un vantaggio chiave per il nostro scopo: è l’indice per cui disponiamo di dati più lunghi, coerenti e comparabili nel tempo.
Siccome la nostra analisi parte dal 1945, il Dow Jones è un indice sufficientemente longevo da coprire l’intero arco temporale che ci interessa, senza ricorrere a ricostruzioni artificiali o a dati di qualità incerta.
Inoltre, il Dow Jones ha una forte valenza simbolica: è l’indice che molti presidenti hanno citato nei loro discorsi, proprio perché riflette in modo immediato la percezione che Wall Street ha dell’economia americana.
Come ha reagito il Dow Jones a ogni presidente USA: l’analisi storica completa
In Figura 1 abbiamo riportato le performance complessive del Dow Jones Industrial Average sotto ogni presidente degli Stati Uniti dal 1945 a oggi. Il calcolo è stato effettuato a partire dalla data di insediamento fino alla fine effettiva del mandato, includendo le eccezioni già descritte.
La prima cosa che colpisce osservando il grafico è l’estrema eterogeneità dei risultati, ovvero la forte variabilità tra un presidente e l’altro: alcuni hanno guidato il Paese in periodi di grande crescita dei mercati, altri si sono trovati ad affrontare fasi storiche molto difficili.
Le barre blu rappresentano i presidenti democratici, quelle rosse i repubblicani. Tra i casi più negativi spiccano Richard Nixon, con un calo del 28% durante il suo mandato, e George W. Bush, che chiude con un -26%, penalizzato dallo scoppio della bolla dot-com e dalla crisi finanziaria del 2008. È interessante notare come gli unici due presidenti con rendimenti chiaramente negativi siano stati entrambi repubblicani, un dato che va in contrasto con l’idea diffusa di una maggiore affinità tra mercati e partito repubblicano.
Jimmy Carter, democratico, ha registrato una performance praticamente piatta, con un modesto -1%.
All’estremo opposto troviamo Bill Clinton, con un incredibile +228%: un periodo storico caratterizzato da forte crescita economica, bilanci pubblici in surplus e boom tecnologico, che ha reso la sua presidenza il miglior ciclo borsistico del dopoguerra. Ottimi risultati anche per Barack Obama (+148%), protagonista della ripresa post-crisi 2008, e per Ronald Reagan (+147%), che ha beneficiato della fine dell’iperinflazione e dell’espansione finanziaria degli anni ’80.
Alternanza tra Democratici e Repubblicani: esiste un ciclo politico nei mercati?
Osservando la Figura 1, oltre alla variabilità delle singole presidenze, emerge un altro elemento interessante: una sorta di ciclicità politica. Negli Stati Uniti, un presidente può restare in carica per un massimo di otto anni, ma raramente si assiste a una lunga egemonia di uno stesso partito.
A colpo d’occhio, si nota infatti come non ci siano mai stati periodi decennali consecutivi dominati da una sola forza politica. Democratici e Repubblicani si sono alternati con una certa regolarità, e questa alternanza ha inevitabilmente influenzato anche l’andamento del mercato.
Questo ci porta a porci una nuova domanda: se smettessimo di guardare alle singole figure e ci concentrassimo sui partiti, quali sono stati i rendimenti del Dow Jones durante i periodi a guida democratica rispetto a quelli repubblicani? È possibile individuare una tendenza più chiara analizzando i dati in questo modo? Per rispondere, nel prossimo paragrafo andremo ad aggregare i risultati in base all’appartenenza politica dei presidenti, confrontando l’effetto complessivo delle due visioni economiche sui mercati finanziari.
Il confronto delle equity line dal 1945 al 2025
In Figura 2, abbiamo riportato l’equity line cumulativa di due strategie ipotetiche: una che investe solo durante i mandati presidenziali Democratici e l’altra che lo fa esclusivamente durante quelli Repubblicani. Il backtest parte dal 1945 e si estende fino al 20 gennaio 2025, utilizzando un capitale di 10.000 dollari per ogni operazione.
Come si può notare chiaramente, le due equity non si sovrappongono mai: quando una strategia è attiva, l’altra resta ferma. Questo avviene per via dell’alternanza politica naturale tra i due partiti, già evidenziata in precedenza.
A colpo d’occhio, si nota una netta differenza tra le due curve. La strategia che opera durante i periodi democratici raggiunge un net profit di circa 53.000 dollari. Al contrario, la strategia legata ai presidenti repubblicani si ferma attorno ai 39.000 dollari complessivi, con una crescita visibilmente più contenuta. Tradotto in termini annualizzati, si tratta di un rendimento medio annuo del 6,7% per i Democratici, contro un 4,9% per i Repubblicani.
Questa differenza, pur non essendo enorme, è consistente e regolare nel tempo. In particolare, si osserva come negli ultimi decenni i mandati repubblicani abbiano avuto un impatto molto più debole sui mercati: la curva rossa appare quasi piatta durante gli anni 2000 e solo leggermente positiva nel ciclo più recente, suggerendo che in questa fase storica i mercati abbiano reagito meglio a presidenze democratiche.
Conclusioni: davvero il partito al potere influisce sull’andamento del mercato?
L’analisi dei dati storici dal 1945 al 2025 mostra con chiarezza che l’alternanza politica negli Stati Uniti ha avuto un impatto visibile sul comportamento dei mercati, almeno sul Dow Jones. Pur non essendo l’unico fattore in gioco, l’appartenenza politica del presidente in carica sembra influenzare in modo consistente il rendimento dell’indice.
In particolare, le equity line costruite sulla base dei mandati Democratici e Repubblicani rivelano una netta superiorità in termini di performance per i periodi a guida democratica, con un rendimento annuo medio del 6,7% contro il 4,9% dei periodi repubblicani.
Naturalmente, non si può ridurre l’andamento dei mercati a una semplice questione di partito. Ogni presidente ha dovuto confrontarsi con contesti macroeconomici, crisi globali e cicli differenti. Tuttavia, i dati suggeriscono che alcune linee guida politiche, come una maggiore spesa pubblica, politiche redistributive o un atteggiamento più favorevole alla regolamentazione, potrebbero aver creato condizioni più favorevoli per il mercato nel suo complesso.
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Alla prossima,
Andrea Unger



