Una conseguenza certamente spiacevole dell’andazzo geopolitico contemporaneo è quella che riguarda il deterioramento dei rapporti tra gli USA e l’Europa occidentale da una parte e la Russia e il mondo orientale dall’altra. Conseguenza di una gestione politica densa di errori e incapacità di mediazione, e pure di una buona dose di interesse statunitense, mirante a neutralizzare qualsiasi ipotesi di gestione alternativa del globo terrestre.

Da questo punto di vista sotto l’amministrazione Obama abbiamo vissuto un netto e rapido deterioramento di un rapporto, quello con la Russia, che per diversi paesi occidentali è strategico e irrinunciabile. L’amministrazione Bush, certo non impeccabile e discutibile sotto certi aspetti, era riuscita a porsi in maniera più efficace nei confronti del presidente Putin e del suo paese. L’intesa c’era ed era collaudata, grazie anche ad una classe politica europea certamente più scafata e pragmatica di quella odierna. La stessa questione delle sanzioni verso Mosca diventa una decisione non solo affrettata, ma una decisione che pretende di azzerare dei contatti che tra l’Europa e la Russia ci sono sempre stati e continuano tuttora ad esserci. Una utile sintesi della situazione può essere quella che oggi vede un cattivo viso a un buon gioco, con un ceto politico europeo (Angela Merkel in testa) che si guarda bene dal promulgare una rottura decisa con Putin. Non a caso la cancelliera tedesca si è mossa in prima persona per cercare una soluzione politica e non militare riguardo la questione ucraina. Pure in Francia l’avanzata della Le Pen rischia di mandare all’aria l’antiputinismo radicale che ha mosso gli ultimi presidenti transalpini. E la soluzione migliore per l’Occidente è proprio quella di ritornare ad un dialogo proficuo con Mosca e ad una nuova collaborazione, che con la minacciosa comparsa del terrorismo islamico si fa sempre più pressante. Proprio sotto questo punto di vista Putin ha saputo giocare d’anticipo, muovendosi in sintonia con Al Sisi, la nuova figura forte dell’Egitto emerso dopo i bagni di sangue delle indotte primavere arabe. Ma è tutta l’onda nuova dei movimenti di protesta europei, etichettati come populisti, che promuove un nuovo dialogo con Mosca. Da Tsipras passando per Iglesias alla già citata Le Pen e alla Lega di Salvini, l’esigenza è forte, e oggi più che mai la necessità è quella di un Occidente compatto, con la Russia come alleata e non come nemica. In questo senso Obama e la sua disastrosa politica estera meritano addirittura di essere rimandati a studiare la politica di Bush, certamente più accorto e meno avventato nel rischiare di inimicarsi il leader del Cremlino.

Una contrapposizione dannosa che viaggia su binari parossistici, che coinvolgono lo stesso concetto di democrazia e gestione statale. Una guerra fredda molto più subdola, fatta di mezzi di informazione, versioni parziali e prezzolate, e una singolare catechesi a colpi di libertà e democrazia provenienti da Occidente, discettazioni sulla fragilità della democrazia russa e le sue architetture gestionali. In ultima istanza, con gli ultimi avvenimenti a confermarlo, piovono dal cielo gli strali sulla gestione poco democratica della cosa pubblica in Russia, a differenza di quello che in maniera fantomatica accadrebbe in Europa e negli USA.

In realtà lo stesso concetto di democrazia mal si presta a questi giochi, perché voler rintracciare un sistema democratico in quello che attualmente stiamo vivendo è quantomeno difficile. Può esserci semmai una minore o maggiore elargizione di libertà in settori di comodo, ma una lotta dicotomica tra un mondo democratico e un altro mondo pervaso dal fascismo e dallo sciovinismo è pura costruzione. Nella stessa Italia, se sostituissimo il termine “democrazia” con quello di “oligarchia elettiva”, nessuno avrebbe nulla da ridire, perché effettivamente il sistema vigente è questo. L’elettorato elegge una classe politica incaricata di rappresentare gli interessi dei propri elettori. Li rappresenta sempre? O quantomeno spesso? No. Si occupa di proteggere la propria posizione di supremazia nei confronti del restante ceto cittadino, con trattamenti migliori e una strenua difesa delle proprie competenze e del proprio ruolo sociale? Certamente sì. Il parlamento italiano, tanto per citarne uno, è una fetta irrisoria rispetto al numero di cittadini che dovrebbero concorrere alla gestione della cosa pubblica in una democrazia propriamente detta. Lo stesso concetto di tramite e mandato stride con una gestione coerente della democrazia per come la si intende, ovvero governo del popolo. Il popolo in Italia e pure in Occidente ha scarsa voce, possiamo dirlo tranquillamente. Il fattore elettivo non deve essere scambiato per la possibilità di accedere direttamente ai gangli del potere e alla gestione dello stato, con una conseguente modifica delle sue architetture geopolitiche. Pure in Italia non si contano le operazioni di debunking e di discredito verso gruppi politici e personaggi intenti a rivedere pesantemente i meccanismi elettorali e di gestione del potere, così come negli altri stati occidentali. Non si contano nemmeno gli omicidi e le intimidazioni ai danni di magistrati, politici, uomini d’affari che quotidianamente sfidano un sistema di potere che invece si perpetua senza problemi.

Purtroppo il gioco dell’informazione è molto più facile se rivolto ad un nemico esterno, nemico pure di quell’architettura sovranazionale, con occhio verso ovest, alla quale siamo legati politicamente e militarmente. L’informazione ha gioco facile nel presentare la Russia di oggi come quella di ieri, come il nemico che da oriente minaccia i nostri figli e la nostra presunta democrazia. L’importante è rendersene conto, e fermare quanto prima il sanguinoso crinale su cui la politica estera pare essersi introdotta. L’Italia e l’Europa lo possono fare, specialmente grazie a quell’ondata di dissenso che sta nascendo in quasi tutti gli stati di area mediterranea e non. L’Europa ha bisogno della Russia e la Russia ha bisogno dell’Europa. Collocarsi definitivamente dall’altra parte del blocco in maniera subordinata significherebbe rinunciare ad un ruolo di mediazione che l’Europa vorrebbe far suo, ma che anche per questi motivi non riesce a definire. Restare preda di una propaganda interessata e prezzolata, perpetuando uno scontro con un nemico esterno di comodo, significa non accorgersi delle opportunità che un dialogo proficuo con la Russia possono creare. Significa rimanere confinati in un velo di ipocrisia che poco si confà ad una gestione sana e coerente di un contenitore di 250.000 di anime, qual è l’Europa. Lo scontro tra democrazia e barbarie è una retorica che è meglio lasciare altrove, i cui effetti notiamo tutti i giorni sulle nostre coste, e altrove. Serve il dialogo e serve una intesa, le crociate lasciamole al medioevo.

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