Sono freschissime le dichiarazioni sull’esigenza di costruire al più presto una “alternativa antisovranista” al governo gialloverde e alla cultura politica da esso incarnata.

Una esigenza che se non altro ha il merito di rispecchiare le mutate contingenze in epoca di globalizzazione: da una parte le élites cosmopolite, mercatiste, favorevoli al progressivo abbattimento delle frontiere, ad un mondo aperto, ad una società fortemente competitivista, cosmopolita, sostanzialmente liquida e all’insegna del libero mercato.

Dall’altra gli ultimi della globalizzazione, il popolo minuto e i lavoratori, le masse rivendicanti, il residuo culturale delle destre sociali e delle sinistre nazionali, capaci di contrastare in maniera organica i voleri del nuovo Re del mondo.

Un concetto di cui parlai chiaramente più di un anno fa, ben prima di qualsiasi formazione di governo gialloverde o di qualche sua naturale e opposta alternativa.

Di fronte alla situazione e mettendosi nei panni del trafelato consigliere di una novella Maria Antonietta, tuttavia, viene da dire che ci sono modi e modi per creare una alternativa credibile alla rivolta delle masse e alla sua forma politica. Anche tra chi, come me, parteggerà sempre per i lavoratori e gli ultimi della globalizzazione, diventa difficile non notare quanto questa germinale ipotesi di opposizione lasci intravedere un livello di attrazione popolare già deficitario.

Che senso ha, infatti, parlare di “fronte antisovranista”? Che senso ha non cercare una formula quantomeno più presentabile? Si rischia veramente di superare la protratta ridicolaggine dell’antifascismo in assenza di fascismo. Un antifascismo ormai borghese, sterile e conservativo ma che quantomeno, esclusa la totale insensatezza di una sua riproposizione nell’Italia odierna, poggia su di una tradizione storica e su di una ideologia reale e culturalmente tangibile. Una ideologia che in anni passati era pure stata degna di largo seguito, poggiante pure su di un nemico storico, quello in orbace, che a qualcuno fa ancora paura.

Ma che senso ha definirsi fieramente antisovranisti? Messa in questi termini sembra quasi che si desideri lottare, fregiandosene elettoralmente, al fine di delegittimare ulteriormente le classi popolari non riconoscendo loro una forma di tutela e autodifesa, con una sovranità che è del resto elemento essenziale anche dell’attuale Carta Costituzionale nazionale.

Se il “sovranismo”, come grammatica insegna, altro non è che il perseguimento ideale e politico del concetto di sovranità, non stiamo certo parlando, come nel caso precedente, di fascismo, bensì di mero buonsenso amministrativo e di quella che dovrebbe essere mera normalità per una normale nazione dotata di confini, di cittadini, di identità ed interessi da difendere.

Manca proprio il concetto fondante di qualsiasi fronte; dall’altra parte infatti non c’è alcun spauracchio antidemocratico da attaccare, ma anzi vi è proprio il concetto di democrazia sovrana sul quale si fondano gli Stati e i patti contratti tra i loro cittadini.

Così come ancor più ridicola sarebbe la riproposizione di un “fronte repubblicano”, anch’esso un nome papabile per l’ultimo rifugio dei progressisti nostrani, mentre i loro avversari tutto intendono costruire tranne un fronte monarchico o una restaurazione fuori tempo massimo della monarchia sabauda.

Insomma, da un lato abbiamo la conferma di come una intera ala del progressismo nostrano, ben lungi dalle terze vie sovrane sperimentate negli anni ’50 e ’60 anche dal PCI e dal PSI, sia diventato l’ultimo rifugio di politiche fortemente elitarie.

Dall’altro certifichiamo con efficacia non solo lo scarso appeal delle nuove “sinistre”, ma anche il fatto che Orwell, ad avere a che fare con le loro odierne intellighenzie, si sarebbe sicuramente divertito e ci avrebbe magari fatto dono di una nuova opera, chiamata “2018”.

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