La Russia di Putin, in una situazione geopolitica di difficile analisi, attira a sé critiche e speranze. Critiche da chi la giudica un bastione di conservatorismo e aggressività, e da chi ancora vede in lei il pericolo che tanto impaurì l’Occidente dall’immediato dopoguerra in poi. Speranza per chi invece crede nella sua funzione di blocco contrapposto, di bilanciere politico, di polo alternativo nei confronti della gestione del mondo targata USA e UE.

Che gli equilibri nelle preferenze rispetto a qualche decennio fa siano cambiati, questo è lapalissiano; basti pensare che tra i più ferventi aderenti del primo blocco, tra gli anti putiniani per eccellenza, troviamo quel centrosinistra in salsa europea che fino a qualche anno fa guardava ad Oriente con occhi innamorati. Oggi quegli occhi volgono a Bruxelles e all’obamiana Washington, spesso con l’integralismo degli anni migliori. Un centrosinistra che non manca di supportare operazioni spacciate per umanitarie e che nascondono invece disegni precisi e ben meno nobili, come nel caso della Libia di Gheddafi e, di recente, della guerra civile siriana. Posizioni spesso di regime e in pieno accordo con una politica estera arrivata da lontano e imperativa per tutti, con gran fiato di trombe e campane dei più noti giornali italiani tendenti al Nazareno. Giornali e media sempre pronti a rilanciare accorati appelli contro questo o quel capo di stato reo di non piegarsi alla scellerata politica estera made in USA degli ultimi anni. Basti vedere, in tal senso, il comportamento tenuto con la Siria di Assad da chi premeva per una sua destituzione violenta con cotanto di intervento umanitario, nella vicenda di un leader dimenticato in Italia e in Europa come dimenticato fu a suo tempo Gheddafi, ma con una sola differenza tra le due storie: proprio il ruolo giocato dalla Russia di Putin.

Il leader pietroburghese infatti ha avuto una parte fondamentale nell’evitare l’intervento sopracitato in Medio Oriente, e in una situazione alquanto difficile e complessa è stato capace di non far mancare tutto il supporto diplomatico di cui necessitava il governo siriano legittimo. Un punto importante in un equilibrio politico in cui le forze islamiste, foraggiate in funzione anti-Assad, si trovano davanti una resistenza compatta e non doma. E’ questo il ritratto di un ruolo, quello russo, che diventa indispensabile, e che seppur influenzato dai travagli politici mondiali degli ultimi vent’anni resta sempre lo stesso: quello di garante dell’equilibrio, in uno scenario di blocchi contrapposti che pare essere tornato in piedi dopo l’epopea eltsiniana. Ed è proprio a sinistra che questa ipotesi viene scartata e bollata come negativa, in una sinistra che pare vivere di frasi fatte, che da vent’anni si diverte a solfeggiare col peggio della retorica buonista ed internazionalista che possa esistere, con la costruzione di ponti e non di muri, con l’abbattimento di qualsiasi frontiera e con tutto il repertorio di dittatura culturale salottiera, in un trito lamentio al sapore di (n)ostalgia, pure nel dipingere l’Unione Sovietica come un paradiso di libertà ed accoglienza, al contrario di ciò che pare, a loro vedere, la Russia di oggi. In realtà il ruolo è rimasto quasi lo stesso, così come la sua fondamentale importanza nello scacchiere politico. E non ci vuole un genio per capire che chi identifica l’URSS come un paradiso di diritti civili e arcobaleni e vede in Putin il mostro reazionario e omofobo colpevole di averlo tradito, vive in un immaginifico orticello fatto di cibo masticato, di speranze e ipocrisie coltivate giornalmente. La verità è che senza la Russia di oggi non si conterebbero disastri simili a quello libico e mancherebbe una reale alternativa geopolitica, in un “Yes we can” totalizzante e ancor più imperante di quello odierno.

Il bilanciamento serve, così come servono sistemi diversi e gestioni alternative. I tanto criticati “muri”, che non va di moda difendere e che non fanno chic, possono metaforicamente essere una opportunità in più direzioni, poiché arricchiscono il mondo rendendolo policentrico, aiutano a costruire delle alternative e permettono di stoppare molto di quel bullismo geopolitico che oggi più che mai minaccia numerosi scenari politici. La Russia di Putin oggi riscopre uno spirito nazionale che pareva sopito, riscopre spiritualità e tradizione, paga la sua posizione di rifiuto e contrarietà con sanzioni arrivate a comando. Paga la posizione di resistenza che oggi la contraddistingue, paga il bullismo di una classe politica e dirigenziale italiana allineata sempre col più forte, la cui prima fila accondiscendente è costituita proprio dai cocchi del maestro Obama, ovvero quel centrosinistra sempre più asservito. Come ieri il Verbo arrivava da Mosca, oggi arriva da Washington. Con un cambio di rotta disarmante per velocità e ipocrisia, abbiamo avuto la metamorfosi di chi vive sempre per importazione ideologica e culturale. Parola d’ordine solamente una, l’omologazione.
Proprio perché ciò non è auspicabile e non è nemmeno più tollerabile oltre, ben venga la Russia. Ben vengano le alternative e ben venga un mondo equilibrato, dove esiste ancora una possibilità di reazione e un ideale di alternativa.

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